Come molti lettori sapranno, “Le cronache del ghiaccio e del fuoco” sono una raccolta di, attualmente, 5 romanzi di ambientazione fantasy scritti da George R.R. Martin, nominato dal Time uno tra i cento uomini più influenti del mondo.
Recentemente, mi è capitato di avere una discussione sulla qualità di questa saga a livello letterario, e soprattutto se quest’ultima possa essere inclusa nel mondo della Letteratura con la L maiuscola.

Non voglio certo impelagarmi in nozioni teoriche su cosa significhi essere un classico della Letteratura o su quali basi si possa giudicare un’opera letteraria. Tuttavia voglio prendere in considerazione alcuni aspetti riguardanti la presente questione: possiamo parlare di Letteratura per Le cronache del ghiaccio e del fuoco?
Diranno di no tutti coloro che vedono nel fantasy un genere triviale, una sottocultura letteraria priva di qualità a livello stilistico e di originalità a livello contenutistico. Eppure questo appare più come un pregiudizio che come un giudizio critico. Un’opera di qualità può appartenere a qualsiasi genere, perché non a quello del fantasy? La verosimiglianza della narrazione in questione non è fittizia tanto da impedire al lettore di immedesimarsi nella vicenda. Quindi il fatto di appartenere a questo genere non è un impedimento al suo godimento estetico e quindi alla sua candidatura a classico (in fondo anche l’Orlando Furioso è un’opera fantasy).
Tuttavia, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, anche se prendiamo in considerazione solo le dimensioni, non è certo l’opera di un ragazzino alle prime armi (cosa che del resto Martin non è). La trama è intricata, si estende su più di un continente, e il burattinaio che intreccia le fila di questo racconto è quanto mai in grado di mantenere una visione di insieme complessa, ma unitaria.
A questo si aggiunge il fatto che, pur essendo un’opera vasta con un molteplicità di caratteri indiscutibile, ogni personaggio ha una chiara dimensione psicologica che lo caratterizza e lo inserisce in una tipologia umana articolata e originale; questa capacità di disegnare personaggi a tutto tondo, di analizzare diverse sfaccettature dell’uomo è qualcosa che colloca quest’opera ben oltre la letteratura triviale destinata al macero dopo qualche anno di successo tra i giovani. Basti pensare a personaggi come Tyrion Lannister o Daenerys Targaryen, che non sono solo caratterizzati in maniera attenta, ma anche dinamica: vediamo crescere questi personaggi, cadere e rialzarsi, diventando nel frattempo simboli di tematiche importanti, come la problematicità del rapporto tra padri e figli. Tuttavia anche i “cattivi” (che non sono mai solo cattivi) hanno una loro dimensione che va ben oltre il bianco e nero di una descrizione favolistica. Pensiamo alla regina Cersei: i lettori concorderanno con me che, pur appartenendo alla schiera dei cattivi, la sua storia personale non ci consente di odiarla o disprezzarla del tutto. Vediamo in lei la sofferenza di una donna costretta a sposare un uomo che non ama, costretta a perdere tutti i suoi figli, in un modo o nell’altro, costretta a nascondere e a trasformare il rapporto stretto, quasi simbiotico che la lega al fratello. Tutto questo sarà convogliato in una sete di potere che rende la sua cattiveria non solo un’opposizione antagonistica, serva della dinamica della narrazione, ma un risvolto psicologico complesso e soprattutto plausibile.
Questo è solo un esempio della complessità dell’opera che avrebbe tutte le carte in regola per diventare un classico della letteratura.
Un altro elemento, e ce ne sarebbero ancora, da prendere in considerazione è la presenza di molti temi che vengono analizzati nelle loro diverse sfumature. Basti pensare al tema del potere e della politica che si intreccia ripetutamente col tema delle donne e del loro essere, almeno inizialmente, tagliate fuori dal mondo dei “grandi”, tutto declinato al maschile. Saranno poi le imponenti figure femminili di quest’opera a ribaltare le cose, mostrando orgoglio, forza, scaltrezza, così come le abbiamo viste in Daenerys, in Cersei o nella fiera Catelyn Stark. Il pathos con cui vediamo un giovanissima ragazza, venduta dal fratello ad un armata di barbari, trasformarsi in una moglie dedita e innamorata, in una regina che vuole liberare gli schiavi di un popolo che la deride e infine coronare il suo sogno di ritornare nella sua terra di origine, è magistrale. Ed è qui ancora che vediamo una figlia che, espiata la colpa del padre, per il quale fu obbligata all’esilio, torna a riprendersi ciò che era suo di diritto.
Potrei fare ancora molti esempi, ma la struttura, i temi e i personaggi di quest’opera la rendono una buona candidata per entrare nel mondo della Letteratura. Quindi, alla domanda che ha dato il via a questa recensione, io rispondo che sì, Le cronache del ghiaccio e del fuoco sono Letteratura, anche se solo la Storia potrà confermalo.
Eppure a confronto di molti libri alla Fabio Volo o alla Baricco, una cosa è sicura: quest’opera ha molto da dire ai suoi lettori, che in lei potranno trovare la tragedia, ma anche il riscatto, l’odio, ma anche l’amore, la grandezza, ma anche la bassezza. In altre parole, potranno entrare nel mondo di un’epopea che riproduce importanti dimensioni dell’esistenza umana, come la passione e il potere.

Una bellissima riflessione. Mi ritrovo d’accordo in ogni tua parola e anche per me è un si deciso!
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Grazie mille. In effetti credo che la critica letteraria dovrebbe soffermarsi un po’ di più su questo fenomeno. Chissà, magari un giorno… 🙂 Grazie per il tuo commento!
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