Perché Milton era del partito del diavolo senza saperlo

di Stefano Brugnolo

Celebriamo con questo articolo il 415o anniversario della nascita di John Milton, che ricorre domani, 9 dicembre.


Parlerò di Milton soffermandomi su alcune letture che della sua opera Paradise Lost (1667) sono state date tra Settecento e Ottocento e lo farò perché quelle letture sono illuminanti e ci dicono l’importanza di quella sua opera per tutto l’immaginario occidentale. E soprattutto ci dicono quanto sia importante Milton per quella che potremmo chiamare la simpatia o empatia che i ribelli hanno sempre più suscitato e ancora suscitano nella nostra cultura.

Allora, il punto è questo: con Milton comincia una straordinaria operazione culturale e letteraria che sta tutta sotto il segno della valorizzazione della figura di Satana. Certo avvisaglie di questa inversione di tendenza s’erano già date con il Satana di Tasso ma è certo Milton colui che ci consegna una nuova immagine del cosiddetto Nemico dell’Umanità.

Satana era stato per secoli il simbolo del Male, e cioè di una negatività assoluta, e le rappresentazioni che di lui si erano date stavano tutte sotto il segno della repellenza fisica e morale. Basti solo pensare qui al Satana di Dante alla fine dell’Inferno. Bene, il Satana di Milton è di una diversissima pasta. Intanto è un “personaggio” non una funzione, un ruolo. Ed è un personaggio complesso, interessante, tormentato. È in definitiva un personaggio “umano”. Non si è certo pentito di avere portato un attacco al Cielo (ci sono nel Satana miltoniano aspetti che rinviano a certi eroi guerrieri della tradizione epica), ma ecco sente con grande intensità che ha rinunciato per sempre a una condizione di grande privilegio ed eccellenza, e ne prova nostalgia.

C’è qualcosa di grande e magnificente in lui, per come ce lo rappresenta Milton. Basta anche solo una citazione per dare questa impressione. Per esempio:

… Farewell, happy fields,
Where joy for ever dwells! Hail, horrors, hail,
Infernal world, and thou, profoundest hell,
Receive thy new possessor: one who brings
A mind not to be changed by place or time (Book I, vv. 249-53).[1]

C’è molto orgoglio ma anche molta nostalgia in questi versi in cui il personaggio dichiara che, pur se la nuova situazione in cui si trova a vivere è disperata e vergognosa, non perciò è disposto a “cambiare la sua mente”, a deflettere dalla sua integrità di ribelle.

E in altri versi Milton ci descrive una figura dai tratti indubbiamente affascinanti:

…; round he throws his baleful eyes,
That witnessed huge affliction and dismay
Mixed with obdúrate pride and stedfast hate. (Book I, vv. 56-8). [2]

Che differenza dai diavoli medioevali grotteschi al limite del comico! Il paradosso è questo: Milton ha scritto il suo poema contro Satana e dalla parte di Dio, eppure… eppure il personaggio del Grande Nemico alla fine gli è uscito fuori molto più interessante di quanto lui probabilmente immaginava e desiderava coscientemente.

Di questo è possibile che già si accorgessero i lettori a lui contemporanei ma sta di fatto che saranno solo i romantici a portare a coscienza questa realtà.

Il primo a farlo fu  William Blake (1757-1827), in un poema mistico che si intitola The Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio del cielo e dell’inferno). Nella parte The Voice of Devil (La voce del Diavolo), dove vengono invertiti tutti i valori morali, l’autore ha potuto scrivere:

The reason Milton wrote in fetters when he wrote of Angels and God, and at liberty when of Devils and Hell, is because he was a true poet, and of the Devil’s party without knowing it.[3]

“Paradise Lost”, di John Milton, edizione originale del 1667

È una frase straordinaria e la sua importanza trascende il caso Milton. Ebbene, precisamente qui, con questa frase di Blake («Milton era un vero poeta e quindi del partito del diavolo senza saperlo»), e soprattutto con questo «senza saperlo» è promossa per la prima volta una concezione pienamente moderna dell’arte. Blake infatti afferma che il prodotto poetico è in qualche misura indipendente dalla intenzioni consapevoli dell’autore, il quale può fare qualcosa di estremamente importante e grande anche “senza saperlo”. Si vede bene che ci sono le premesse per una svalutazione dell’ideologia come componente dell’opera: essa non va certo dimenticata mai e va sempre data per presente e inevitabile, occorre però tener presente che non è in essa che risiede l’essenziale di un’opera d’arte.

La ricezione del testo di Milton ha reso possibile una presa di coscienza di questa verità.

Consideriamo adesso un singolare testo di Schiller (1759-1805), che nel 1781 aveva varato la sua prima opera teatrale, il dramma in prosa Die Räuber (I masnadieri), in cui compare per la prima volta la figura del bandito romantico. Il personaggio del protagonista Karl Moor è certamente derivato dal Satana miltoniano. Il che ci dimostra che dall’umanizzazione, nobilitazione e in qualche misura quasi giustificazione involontaria del demonio si può arrivare a quella di un essere umano che “fa il male”. In effetti Moor è un bandito e le sue azioni sono spesso terribili, ma ecco Schiller ci mostra che lui è stato traviato da circostanze che lo hanno messo in guerra contro la società e ne hanno fatto letteralmente un fuorilegge.

Il primo grande fuorilegge che la letteratura ci propone in una chiave positiva è dunque appunto Karl Moor ed è un “nipotino” del Satana miltoniano. Seguiranno poi gli innumerevoli fuorilegge di Byron (1788-1824), che sarà il primo nei primi due decenni dell’Ottocento a divulgare e a rendere popolare in tutte Europa la figura del bandito romantico, finché essa non diventerà un luogo comune e alla fine decadrà. È la prima volta nella storia della letteratura europea che un “cattivo” viene proposto all’identificazione piena di lettori e spettatori. È davvero una svolta.

Schiller era perfettamente consapevole che questa svolta era stata resa possibile dal lontano esempio di Milton e del suo  suo scritto intitolato Selbstrezension (Autorecensione) a Die Räuber, vi riporto direttamente in italiano un brano di quel testo:

Spontaneamente ci mettiamo dalla parte del vinto. Un artificio col quale Milton, il panegirista dell’inferno, trasforma per qualche momento nell’angelo caduto anche il più mite dei lettori.

Schiller, il quale l’anno prima aveva appunto licenziato un dramma con un fuorilegge passibile di identificazione piena definisce dunque Milton il “panegirista dell’inferno”. Si tratta di un anacronismo. Biograficamente parlando infatti Milton era senz’altro un buon cristiano, e non era assolutamente ciò che dice Schiller, un panegirista dell’inferno! Ma queste letture preromantiche anche se filologicamente azzardate non hanno tutti i torti, solo compiono una forzatura nella misura in cui sottovalutano il fatto che l’opera spesso e in più punti sfugge alle intenzioni del creatore.

Non occorre cioè supporre che Milton fosse convintamente un supporter del partito di Satana, conviene invece pensare che la sua attitudine fosse ambivalente e che pur portando un giudizio morale negativo sul personaggio poi nel raccontarne le vicende abbia saputo valorizzarne degli aspetti. Da notare anche quanto questo schilleriano “trasforma per qualche momento il lettore ecc.” rassomiglia alla celeberrima frase di Coleridge “willing suspension of disbelief” (volontaria sospensione dell’incredulità). Durante la lettura di un’opera che ci cattura l’incredulità è infatti sospesa volontariamente; e si direbbe che anche le convinzioni morali e ideologiche sono sospese: ecco perché durante la lettura anche il più mite dei lettori si trasforma nell’angelo caduto, in Satana. È il meccanismo dell’identificazione che fa sì che noi possiamo identificarci con personaggi negativi se e quando questi personaggi sono resi interessanti, affascinanti, dall’autore. Questo è più che mai il caso del Satana di Milton.

Percorrendo le generazioni romantiche facciamo un altro passo in avanti e citiamo Shelley (1792-19822) che nella sua Defence of Poetry (Difesa della Poesia) scrive:

And Milton’s poem contains within itself a philosophical refutation of that system, of which by a strange and natural antithesis, it has been a chief popular support.[4]

Qual è questo sistema? Ebbene, è il cristianesimo stesso! Shelley pretende dunque che il cristianissimo Milton abbia scritto un poema contro il cristianesimo! Ma proseguiamo:

Nothing can exceed the energy and magnificence of the character of Satan as expressed in Paradise Lost. It is a mistake to suppose that he could ever have been intended for the popular personification of evil.[5]

In altre parole, il demonio non è affatto tale, è anzi l’eroe positivo del poema; secondo Shelley bisogna essere molto superficiali per credere che il demonio di Milton sia un vero demonio!

Illustrazione for John Milton’s “Paradise Lost“ by Gustave Doré

Milton’s Devil as a moral being is as far superior to his God, as one who perseveres in some purpose which he has conceived to be excellent in spite of adversity and torture, is to one who in the cold security of undoubted triumph inflicts the most horrible revenge upon his enemy, not from any mistaken notion of inducing him to repent of a perseverance in enmity, but with the alleged design of exasperating him to deserve new torments.[6]

Non solo, dunque, Dio è un tiranno, secondo Shelley, ma è anche sadico. Lui è onnipotente e sa perfettamente di essere il più forte. Lo sa anche Satana, ma non perciò rinuncia a ribellarsi verso quel tiranno. Come vediamo, in questo testo tocchiamo il punto preciso. La forzatura è massima eppure anche in questo caso non si può dire che essa sia del tutto arbitraria. Tra l’altro noi sappiamo che Milton partecipò attivamente alla Rivoluzione inglese e fu il segretario di Oliver Cromwell, alcune scene assembleari rappresentate in Paradise Lost in cui Satana arringa il popolo dei diavoli risentono certamente di quella sua esperienza.

Un testo invece più divertente e inatteso è quello di un altro scrittore, Xavier de Maistre (1763-1852), vissuto tra la Rivoluzione francese e la Restaurazione, il cui nome è quasi interamente legato ad un’operina scherzosa, pubblicata nel 1794, a ridosso dunque della Rivoluzione francese, un po’ nella tradizione di Sterne: Voyage autour de ma chambre (Viaggio intorno alla mia camera).

La trama è semplice: ammalato, non può muoversi dal letto e viaggia con gli occhi e col pensiero lungo le pareti della sua camera. Ogni oggetto che vede suscita ricordi e ispira delle pagine molto spiritose, fini e sentimentali, nel gusto della fortuna di Sterne a fine Ottocento. Ad un certo punto gli occhi dell’io si posano sul Paradise Lost e leggiamo:

Mais il faut que j’avoue ici une faiblesse que je me suis souvent reprochée.
Je ne puis m’empêcher de prendre un certain intérêt à ce pauvre Satan (je parle du Satan de Milton) depuis qu’il est ainsi précipité du ciel. Tout en blâmant l’opiniâtreté de l’esprit rebelle, j’avoue que la fermeté qu’il montre dans l’excès du malheur, et la grandeur de son courage, me forcent à l’admiration malgré moi.[7]

Ecco de Maistre è molto più schietto e meno paradossale del progressista e ateo Shelley, perché qui viene confessata quella che per l’autore resta una debolezza: il simpatizzare per Satana. Lui dice che in effetti dal punto di vista ideologico Satana è un nemico, anzi il nemico, eppure suo malgrado non può non provare compassione e fascinazione per quel personaggio. Il buon senso che caratterizza il tono di De Maistre rende questa espressione di simpatia verso il Satana miltoniano ancora più eloquente nel mostrare quale profonda necessità ci fosse nella rilettura moderna di Milton; molta più che non nei testi firmati da Schiller o Shelley, protagonisti della rivoluzione romantica. Leggiamo ancora:

Quoique je n’ignore pas les malheurs dérivés de la funeste entreprise qui le conduisit à forcer les portes des enfers pour venir troubler le ménage de nos premiers parens, je ne puis, quoi que je fasse, souhaiter un moment de le voir périr en chemin, dans la confusion du chaos.[8]


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De Maistre si riferisce a quella che è la missione di Satana: traviare i “nostri” progenitori, facendogli commettere il peccato originale. Di che caos infatti parla De Maistre? Di quel caos cosmico che, secondo Milton, Satana dovrà affrontare gettandosi nel vuoto per poi atterrare nel Paradiso terrestre per tentare Eva e Adamo. Quel “folle volo” metteva paura allo stesso Satana e ancora di più agli altri demoni, perché il rischio era il totale annientamento, ritenuto peggiore di qualsiasi pena. In un certo senso un buon cristiano come De Maistre dovrebbe in cuor suo augurarsi che proprio questo accada al cosiddetto Nemico dell’Umanità, ma come lettore che s’è a sua volta tuffato nel poema di Milton de Maistre non può augurarsi che il diavolo muoia:

Je crois même que je l’aiderais volontiers sans la honte qui me retient.

“Credo addirittura che lo aiuterei volentieri, senza la vergogna che mi trattiene.”! Il tono certo è scherzoso ma così facendo De Maistre confessa una simpatia personale data come irresistibile, e la sua testimonianza relativa alla “simpatia” di Satana è quasi più interessante e convincente del tono serio dei commenti precedenti.

Je suis tous ses mouvements, et je trouve autant de plaisir à voyager avec lui que si j’étais en bonne compagnie. J’ai beau réfléchir qu’après tout c’est un diable, qu’il est en chemin pour perdre le genre humain, que c’est un vrai démocrate, non de ceux d’Athènes, mais de ceux de Paris ; tout cela ne peut me guérir de ma prévention.
Quel vaste projet ! et quelle hardiesse dans l’exécution![9]

Satana è un democratico! Ci dice De Maistre e in un certo senso è vero se pensiamo che lui stesso diventerà signore dei regni infernali solo dopo che l’assemblea dei diavoli avrà ratificato la sua signoria. Si tratta dunque di una legittimazione dal basso e non dall’alto come quella dei re tradizionali che erano monarchi per diritto divino. E anzi De Maistre esplicita l’analogia tra questo Satana e i democratici che hanno fatto la Rivoluzione a Parigi. Insomma, i giacobini, quelli come Robespierre, che tutto il pensiero reazionario (inaugurato da Joseph De Maistre, il fratello di Xavier) considerava in effetti come degli emissari dell’inferno. E De Maistre poi continua così lungamente con l’elogio di Satana.

Con il che ci dimostra che Milton ha scritto un libro che in qualche modo anticipa le grandi ribellioni, insurrezioni, rivoluzioni moderne. Ha scritto un elogio della Rivoluzione credendo di scrivere un elogio dell’onnipotenza divina. Se davvero Milton avesse scritto un’opera che rispettava in pieno la sua ideologia di cristiano pio essa non ci impressionerebbe ancora così tanto.


[1] Trad.: “… Addio, campi felici, | dove la gioia per sempre dimora! Salve, orrore, salve, | mondo infernale! E tu, profondissimo inferno | ricevi il tuo nuovo possessore: uno che possiede | una mente che non può essere cambiata dal luogo o dal tempo”.

[2] Trad.: “…intorno egli gira i suoi avvelenati occhi | che testimoniavano grande afflizione e sgomento | misti con ostinato orgoglio e tenace odio.”

[3] Trad.: “La ragione per cui Milton scrive incatenato [ossia scrive male] quando scrive degli Angeli e di Dio, e invece è in libertà [e dunque al suo meglio] quando parla dei Diavoli e dell’Inferno, è perché era un vero poeta, e del partito del diavolo senza saperlo.”

[4] Trad.: “Il poema di Milton contiene nel suo ambito una refutazione filosofica di quel sistema, del quale per una strana ma naturale antitesi, esso è stato un sostegno di prim’ordine agli occhi del volgo.”

[5] Trad.: “Nulla può superare l’energia e lo splendore del carattere di Satana quale si trova espresso nel Paradiso Perduto. È un errore il supporre che possa essere stato concepito come la popolare personificazione del male.”

[6] Trad.: “Il demonio di Milton come essere morale è di tanto superiore al suo Dio, di quanto colui che persevera in un qualche disegno concepito eccellente malgrado l’avversità e la tortura [Satana], è superiore a chi [Dio] nella fredda sicurezza dell’immancabile trionfo infligge al suo nemico la più orribile vendetta, non da un nozione errata da indurlo a pentirsi di una perseveranza nell’inimicizia, ma col dichiarato proposito di esasperarlo in modo da meritare nuovi tormenti.”

[7] Trad.: “Ma bisogna che io confessi qui una debolezza che mi sono spesso rimproverato. Non posso impedirmi di partecipare con un certo interesse alla sorte di questo povero Satana (parlo del Satana di Milton) dopo che è stato così precipitato dal cielo. Pur biasimando l’ostinazione dello spirito ribelle, confesso che la fermezza che dimostra nell’eccesso della disgrazia, e la grandezza del suo coraggio, mi costringono ad ammirarlo mio malgrado.”

[8] Trad.: “Benché io non ignori le disgrazie derivate dalla funesta impresa che lo indusse a forzare le porte dell’inferno, per venire a turbare il ménage dei nostri primi genitori, non posso, checché io faccia, augurarmi un momento solo di vederlo perire lungo la strada, nella confusione del caos”.

[9] Trad.: “Seguo tutti i suoi movimenti, e provo tanto piacere a viaggiare con lui come se fossi in buona compagnia. Ho un bel riflettere che dopo tutto è un diavolo, che è in cammino per la perdizione del genere umano, che è un vero democratico, non di quelli di Atene, ma di Parigi; tutto ciò non può guarirmi dalla mia disposizione favorevole. Quale vasto progetto e quale ardimento nell’esecuzione!”

6 commenti

  1. […] Satana in Paradise Lost (Venerdì): A un giorno dall’anniversario della nascita di Milton (9 dicembre 1608), Stefano Brugnolo esplora la figura di Satana nel capolavoro Paradise Lost e analizza i suoi rimaneggiamenti nelle letterature successive. Un viaggio appassionante tra le pagine della letteratura inglese e dell’impatto che ha avuto su autori di altre nazioni. Leggi l’articolo qui: Perché Milton era del partito del diavolo senza saperlo […]

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