Alexandr Puškin nasce a Mosca nel 1799 e muore nel 1837; nell’arco di questo breve spazio di tempo riesce tuttavia a diventare uno dei più famosi poeti della letteratura russa, diventandone uno dei modelli per eccellenza.
Ciò nonostante, Puškin scrive anche delle opere in prosa, tra le quali spicca La figlia del capitano, un romanzo a sfondo storico, ambientato durante la ribellione di Pugachev (1770). Puškin nutre un forte interesse per la figura di Pugachev e questo è ben evidente nel romanzo, dove il ribelle gioca un ruolo fondamentale, non solo per il suo ruolo nella Storia, ma anche come motore dello sviluppo narrativo interno della vicenda romanzesca.
La figlia del Capitano potrebbe essere descritta come uno spin-off di un’opera più lunga e storica nella quale Puškin intende descrivere la vicenda attraverso i documenti di archivio e le interviste fatte da lui stesso sul campo. Grazie a questo lungo lavoro di ricerca nasce la Istoriia Pugacheva (Una storia di Pugachev), poi ribattezzata, per ordine dello stesso Zar, Una storia della ribellione di Pugachev.
La figlia del capitano è un piccolo gioiello della letteratura russa; tra le sue righe si possono già intravedere i primi passi di una tradizione letteraria che darà vita ai grandi romanzi di Tolstoj e Dostoevskij. Come in questi romanzi, la vita dei singoli individui si sviluppa sullo sfondo della grande Storia.
Si tratta di un romanzo gradevole e avvincente con una trama ben costruita e personaggi dalla psicologia dinamica e strutturata. Tale dinamismo lo si vede nella trasformazione che porta il protagonista a diventare, da giovane inesperto della vita, un nobile soldato, fedele ai suoi doveri e pronto a difendere la propria terra anche se questo significa allontanarsi dalla donna che ama e che ha appena ritrovato.
Puškin riesce a gestire magistralmente l’intreccio tra Storia e narrazione e nel farlo non manca di proporre riflessioni interessanti, come la strenua condanna della violenza, sia essa protratta dal nemico o contro il nemico:
La tortura un tempo era così radicata negli usi della procedura, che il benefico editto che la sopprimeva rimase a lungo senza effetto. Si pensava che la personale confessione del delinquente fosse indispensabile per la sua piena convinzione, idea non solo senza fondamento, ma addirittura contraria a un sano concetto giuridico: perché, se la negazione dell’imputato non si riconosce come prova della sua innocenza, la sua confessione ancora meno deve essere prova della sua colpevolezza.
La condanna della violenza è probabilmente il messaggio più importante di questo romanzo e la si ritrova in molti passaggi, come nella descrizione della morte del padre e della madre della protagonista femminile. Si tratta di un messaggio forte e più che mai pregnante in un mondo, come quello odierno, in cui la violenza sembra per molti la soluzione alla violenza stessa.
Puškin sottolinea l’importanza di questo tema nel suo romanzo, riferendosi direttamente al lettore:
Giovanotto! Se le mie memorie capiteranno tra le tue mani, ricordati che i mutamenti migliori e più solidi sono quelli che procedono dal miglioramento dei costumi, senza scosse violente di sorta.
Attorno a questo nucleo centrale, ruotano poi le vicende dei protagonisti. Molto interessante è la figura di Mar’ja, figlia orfana del comandante e della moglie che trova nel protagonista la sua unica ragione di vita. Un romanzo d’amore in stile cavalleresco che però ci presenta un’eroina decisamente non ordinaria, forte e decisa. Basti pensare alla sicurezza espressa dalle sue parole nel momento in cui il nemico Svabrin tenta di costringerla a diventare sua moglie:
– mio marito! – ella ribatté, – lui non è mio marito. Io non sarò mai sua moglie! Ho piuttosto deciso di morire, e morirò, se non mi si libererà.
A ciò si aggiunga la fine del romanzo, dove è proprio grazie a Mar’ja che il protagonista riesce a ricongiungersi con la propria famiglia, grazie all’intervento della stessa moglie dello Zar. L’incontro tra quest’ultima e Mar’ja avviene senza che Caterina venga riconosciuta, in un’atmosfera che ricorda certi risvolti narrativi tipici delle novelle decameroniane.
Anche la figura di Pugachev è delineata in maniera complessa: non è dipinto come il classico nemico stereotipato di certi romanzi d’appendice. A molti lettori potrà sembrare che il vero nemico non sia nemmeno lui, ma Svabrin, sozzo, violento e villano. Questo è stato probabilmente possibile grazie anche alle ricerche storiche dello stesso Puškin che gli hanno consentito di dipingere un uomo, un leader, tridimensionale e non piatto.
Concludendo, La figlia del capitano è un romanzo avvincente, che permette di assaporare quella classica atmosfera russa che ritroveremo nei grandi capolavori e che trova qui le sue radici.

[…] durante la composizione, tenendo presenti i classici della generazione precedente, da Lermontov a Puškin, a Gogol, Tolstoj non solo allargò lo sguardo a tutta una serie di questioni sociali, […]
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