«Così sta la nostra città tribolata!»: la Firenze di D. Compagni e l’Italia di oggi. Cosa è cambiato?

NZO

 La Cronica delle cose occorrenti nei tempi suoi di Dino Compagni rientra in un genere della letteratura che affonda le radici nell’epoca medioevale: la storiografia. Compagni nasce a Firenze tra il 1246 e il 1255 da una famiglia di mercanti appartenenti al partito dei Guelfi bianchi. Una delle novità portate dalla Cronica è proprio l’appartenenza dell’autore al mondo laico: di solito, il ruolo dello storiografo era affidato ad esponenti del clero. Compagni ha una cultura generale vasta che mette insieme nozioni di matematica ad altre di letteratura; ciò gli facilita l’accesso alla scena politica di Firenze, all’interno della quale ricoprì il ruolo di Priore per due mandati (i periodi più turbolenti della storia della città). 

Nel 1302 i guelfi neri prendono il potere a Firenze. Compagni riesce ad evitare l’esilio, tuttavia è costretto ad allontanarsi dalla scena politica, e questo gli offre l’opportunità di dedicarsi alla stesura di questo testo. Quest’ultimo si presenta come un’opera in parte militante: Compagni scrive per narrare gli avvenimenti che hanno portato alla situazione di decadenza in cui versa la città di Firenze (in questo riecheggia la lezione di Sallustio). 

La Cronica si presenta come l’opera scritta da un protagonista della vita pubblica del comune che ama la sua città e cerca di fare di tutto perché in essa sia restaurata la pace. Celebre è il suo discorso presso il battistero: 

Tra voi è nato alcuno sdegno, per gara d’ufici, li quali, come voi sapete, i miei compagni e io con saramento v’abiamo promesso d’accomunarli. Questo signore [Carlo di Valois] viene, e conviensi onorare. Levate via i vostri sdegni e fate pace tra voi, acciò che non vi trovi divisi: levate tutte l’offese e ree volontà state tra voi di qui adietro; siano perdonate e dimesse, per amore e bene della vostra città.

Purtroppo la pace apparentemente raggiunta grazie a queste parole sarà solo un inganno: una volta che Carlo avrà lasciato la città, gli scontri tra neri e bianchi ricominceranno e l’autore, ancora, scrive:

Se nelle parole ebbe alcuna fraude, io ne debbo patire le pene; benché di buona intenzione ingiurioso merito non si debba ricevere.

La Cronica è un libro non di facile lettura per chi non è abituato alla lingua dell’epoca. Tuttavia,è molto interessante per approfondire lo sfondo storico nei quali sono cresciuti i personaggi della Commedia di Dante, che militava nello stesso partito del Compagni. Il testo viene spesso accostato all’opera di Giovanni Villani, da cui si discosta però per alcune caratteristiche. La Cronica di Compagni è più breve, in quanto l’autore non vuole fornire una storia universale della città ma focalizzarsi sugli avvenimenti a cui ha preso parte. Egli intende essere letto sia dai contemporanei che sono, come lui, attivi nella vita politica della città, che dai posteri, affinché possano vedere i risultati della faziosità all’interno del Comune. E questa è una delle ragioni per cui decide di scrivere la sua opera in volgare. 

Il lettore moderno godrà della lettura di questo capolavoro medioevale, perché potrà ritrovarvi l’eco delle lotte tra partiti e della corruzione che ancora oggi albergano nel nostro Paese: ci si potrebbe stupire di quanto la situazione non sia poi così cambiata. Si potrà conoscere, attraverso le parole di un uomo che ama la sua patria, la disperazione dei cittadini davanti alla rovina della città. Quest’ultima potrà essere evitata, secondo Compagni e, poi, anche secondo Dante, con la discesa di Arrigo VII e l’annessione dell’Italia all’Impero. 

Le parole con cui l’autore chiude la sua opera sono di sdegno, di disprezzo e di condanna:

Così sta la nostra città tribolata! Così stanno i nostri cittadini ostinati a malfare! E ciò che si fa l’uno dì, si biasima l’altro. Soleano dire i savi uomini: «L’uomo savio non fa cosa che se ne penta». E in quella città e per quelli cittadini non si fa cosa sì laudabile, che in contrario non si reputi e non si biasimi. Gli uomini vi si uccidono; il male per legge non si punisce; ma come il malfattore ha degli amici, e può moneta spendere, così è liberato dal malificio fatto. O iniqui cittadini, che tutto il mondo avete corrotto e viziato di mali costumi e falsi guadagni! Voi siete quelli che nel mondo avete messo ogni malo uso. Ora vi si ricomincia il mondo a rivolgere addosso: lo Imperadore con le sue forze vi farà prendere e rubare per mare e per terra.

Quanto è diversa l’Italia di oggi dalla Firenze di allora? 

Questa e altre sono le domande suscitate dalla lettura di quest’opera, che purtroppo o per fortuna non smette di stupire il lettore per la sua incredibile attualità.

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