“Nunc et in hora mortis nostrae. Amen“. La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Gloriosi e Dolorosi; durante mezz’ora altre voci, frammiste, avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d’oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e durante quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo

Un’ottima scelta. Mi accorgo solo ora del significato anticipatore dell’attacco narrativo: la frase latina – “Nunc et in hora mortis nostrae. Amen“ – si riallaccia alla tematica della morte, dominante nel testo; l’ironia dell’autore si dispiega quasi con divertimento sul significato del rosario; lo stile si fa a un certo punto più ricercato, sottolineando il brusio, le immagini (Maddalena, con la sensualità tipica di alcuni momenti successivi del romanzo), ecc.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sono d’accordo su tutto. Non vedo l’ora di leggere il resoconto della serata del prossimo caffè letterario che sarà proprio dedicata al “Gattopardo” 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sì, farò del mio meglio, ma senza troppi particolari: un sommario compatto, che dia un’idea generale dei vari interventi.
"Mi piace""Mi piace"