Mercoledì 17 ottobre 2018, alle 18.15, all’Università di Zurigo, Aula KOL H-317, lo scrittore Roberto Pazzi presenterà «L’ora della mezzanotte» di Gerardo Passannante.

Per questa occasione ripubblico volentieri la mia presentazione del libro.

Nella vita giunge l’ora della mezzanotte, in cui ognuno deve gettare la maschera (Kierkegaard, da «Aut-Aut)): a questa citazione fa riferimento il titolo della raccolta «L’ora della mezzanotte», di Gerardo Passannante, edita a Bologna in questo mese di maggio 2018 da Minerva editrice. In precedenza era stata pubblicata nel 1996 a Venezia per le Edizioni del Leone, ma comprendeva soltanto nove racconti e non quattordici.
L’ampliamento permette al lettore di “visitare” una galleria ricca di personaggi, a volte storici, come Seneca, o metastorici (Adamo, Caino, Giuda, Gilgamesh, Don Giovanni), o fantastici, come il Signor Zeta. Si va dalla contemporaneità alle epoche più antiche, persino remote, epiche. In queste vicende, sempre drammatiche, l’autore si chiede quale sia il senso della vita, o come possiamo riconoscere il vero dal falso ed esserne certi, o cosa significhi dirsi “liberi”. Nell’epoca della volgarità mass-mediatica temi come questi sono davvero poco frequenti, e questo è solo uno dei tanti pregi del libro. A questo proposito, esaminiamo la raccolta per vedere in che modo essa è (per fortuna!) lontana dalle mode culturali correnti. Alcuni racconti hanno un peso specifico maggiore rispetto agli altri e svolgono un ruolo centrale nello svolgimento del “discorso” dell’autore. Rivolgerò perciò ad essi maggiore attenzione, anche se tutti i testi sono comunque meritevoli.
Nell’ultima lettera di Seneca a Lucilio (in «Seneca Lucilio suo salutem») il celebre tragico e filosofo latino ritratta la sua trascorsa ricerca della libertà, con sofferte parole che propongono di ridiscutere il problema al limitare tra vita e morte. Il lettore giunge preparato all’impatto con la lettera di Seneca grazie ai quattro racconti precedenti, che toccano argomenti affini, con esiti a volte paradossali o grotteschi, a volte drammatici, e sempre con un finale che disattende le false attese del lettore ingenuo, ma che non disorienta il lettore più critico. Il valore dello scrivere oggi, o il degrado inarrestabile dell’uomo, si riallacciano qui al tema centrale della libertà e questo vale anche per i contenuti dei racconti successivi. Ma torniamo al quinto racconto. Le parole di Seneca vicino alla morte sono definitive: tutta la vita non è che un lento, progressivo imparare a morire, e l’uomo rimane insoddisfatto, con le sue domande irrisolte e il giudizio sospeso. Conciliazione e coerenza sono impossibili da conseguire, se non si vuole rimanere nell’illusione. La libertà è un valore relativo, poiché entrambe, la vita e la morte, ci sono state imposte: azione e lotta sono solo presenze fantasmatiche, scegliere-non scegliere non è un dilemma vero, ma falso. Anche se al lettore questa può sembrare una sentenza definitiva, lo svolgimento del discorso va avanti autonomamente; certo, il messaggio complessivo di Passannante include le parole sconsolate di Seneca e le fa proprie, ma senza ridursi ad esse, come provano gli altri racconti, che infatti sviluppano da altre angolazioni il dilemma della responsabilità individuale ed esprimono una posizione notevolmente polemica.
Nella supplica di Caino al padre (in «Fedeltà alla terra») si parla di colpa e di perdono. Sia Abele, morto, che Caino, in esilio, sono stati soltanto «il futile strumento di un capriccio». E forse la colpa dovrebbe ricadere su un «dio ingordo» che Caino è pronto a sfidare.
Si pensi poi a «Il quinto sigillo», in cui un certo signor Zeta riceve da Dio la facoltà di riscattare l’intero genere umano dal peccato, a condizione che il gesto vada a scapito della sua vita: rinuncerà, rivelando l’incapacità umana di assolvere un compito disumano, in quanto uomo posto di fronte a una necessità che lo supera, anzi lo trascende. Il signor Zeta rappresenta soprattutto l’uomo che non è Dio e che è debole solo in quanto confrontato con un Essere troppo più grande e potente di lui.
In «Rue d’Ulm, 1980» il filosofo Louis Althusser uccide Hélène, la moglie tanto amata. Morirà dieci anni dopo, in manicomio. Fin qui la realtà storica. La narrazione, poi, percorre i meandri della depressione di Louis e del rapporto conflittuale con Hélène, che in sogno per ben due volte lo metterà di fronte alla sua essenziale disumanità. Lui alla fine capisce:
Ho voluto capire l’uomo, per questo non l’ho amato, e l’ho voluto capire perché lo detestavo. (…) Te, invece, Hélène, te, contro tutti gli altri t’ho amata: e ti ho uccisa perché tu non fossi oggetto del mio disprezzo generalizzato.
Tutti i racconti, a mio parere, portano tematicamente all’ultimo, «Il diverso», cioè all’agone tragico di Giuda, condannato a non scegliere e ad essere il capro espiatorio della Storia. La sua ribellione di uomo nei confronti di Dio, nelle sue ultime parole, lo propone come vero liberatore dell’umanità. La sua «diversità» gli consente, di fronte agli altri uomini, un grado superiore di autocoscienza: solo lui ha potuto amare la vita essendone stato privato; solo lui ha patito l’estremo bisogno del contatto con gli altri, quello stesso contatto che gli è stato precluso; solo lui ha potuto misurare l’inumanità della rinuncia non voluta alla libertà. La sua protesta esprime la consapevolezza della colpa di credere in un Dio prevaricatore e, in fondo, inesistente. Secondo la mia interpretazione, non la mera speculazione filosofica, il freddo ragionare senechiano, ma la figura tragico-eroica di Giuda esprime al meglio il senso complessivo dei racconti. Egli sa accogliere, infatti, la vitalità del fare e del dire e la esprime più intensamente nel momento in cui «deve» contestare Dio e reclamare la gioiosa inevitabilità della scelta; Giuda si propone
un programma minimo di felicità, per saziare la miserabile e grandiosa passione che ci lega alla terra, di cui inseguiamo la ricchezza nella difformità dei tentativi.
Causa di angoscia, allora, non è la scelta, ma l’assenza di una scelta qualsiasi. E così conclude:
la verità che riluce, in quest’ora suprema, è quella di sentirmi vittima della falsa missione che mi ha fatto sì, diverso, ma che, al prezzo di trenta denari, mi ha reso il cuore arido e la morte nemica.
Il significato del libro è da ricercare nell’esame spietato della condizione dell’uomo, che ha storicamente accettato quelle mistificazioni che agiscono celando la difficoltà di vivere e costruendo un velo dogmatico che ottunde le coscienze. Il pregio più evidente è la scrittura, aderente nelle sue scelte alla tensione lirica di molte delle storie raccontate e all’elevatezza della materia. Questi racconti, debitori non solo a Kierkegaard, ma anche al pensiero di Schopenhauer e di Nietzsche, per tacere di altri, proclamano in uno stile variegato ed esigente la necessità di una nuova ricerca, laica, di valori che siano «veramente» umani e che possano liberare l’uomo dalle falsità e dai pregiudizi della società, della religione e della Storia. Passannante, in nome di una nuova forma di umanesimo, richiama la nostra attenzione su una problematica oggi troppo spesso trascurata.
È per questo che raccomando i suoi racconti a chiunque voglia staccarsi per un momento dalla superficialità della comunicazione quotidiana e dei romanzetti tanto cari al grande pubblico, per riflettere su quei grandi problemi che in fondo non possiamo ignorare, neanche volendo.
L’ora della mezzanotte è stato scelta come opera per la nostra Popsugar Reading Challenge nel prompt “libro con un’ora del giorno nel titolo”. Clicca qui per saperne di più=> 📚 📚 Popsugar Reading Challenge 2018 📚📚
