SOSTENEVA TABUCCHI, O DELL’ANTIFASCISMO VERO di Vittorio Panicara

Tabucchi spesso affermava di temere una «rilettura di destra della storia» e un revisionismo quanto mai minaccioso in tempi di riabilitazioni e di marce all’indietro pericolose. A questo riguardo lo scrittore, scomparso sei anni fa, aveva preso posizione con Sostiene Pereira: era il 1994, l’anno della prima vittoria elettorale di Berlusconi, e il romanzo (così come l’omonimo film di Faenza) sembrava difendere la libertà d’informazione dalle mire berlusconiane,

Il libro non ha certo bisogno di tante  presentazioni, ma lo consiglierei per una utile rilettura, e non solo per ricordare un grande del Novecento letterario italiano. Testi come questo vanno considerati, da chi è alla ricerca di «indizi di verità», alla stessa stregua di testimonianze storiche.  Il loro impianto realistico, infatti, si basa su prove documentali, poiché l’obiettivo dello scrittore in questi casi non può che essere la verosimiglianza ed è questo apparato di dati, di fatti, ma anche di atmosfere e sentimenti, che va esaminato come ausilio per un giudizio etico-politico.

Nella «Nota» che chiude il libro, Tabucchi racconta la genesi del romanzo, sottolineando l’origine storica del fatto narrato: la beffa giocata da un giornalista, poi costretto all’esilio, ai danni del regime salazariano, con un articolo di critica aperta e feroce (è ciò che riesce a fare Pereira, come si ricorderà, alla fine della narrazione).  In questo modo l’autore lascia intendere che l’invenzione è minima e che quello che conta è la credibilità dei personaggi e della vicenda. Ebbene, quest’ultima è credibilissima: la Lisbona che ci presenta Tabucchi, con gli intellettuali e la stampa asserviti a Salazar, la repressione feroce, il culto della razza (siamo nel fatidico 1938) e l’antisemitismo, i riflessi della guerra civile spagnola, e altro ancora, tutto pare confermato da innumerevoli altre testimonianze, peraltro assai note; la stessa atmosfera che si respira, con le paure e le speranze, gli atti di coraggio e di servilismo,  è quella «giusta». L’espediente narrativo della ripetizione ossessiva della formula «sostiene Pereira» restringe il campo alla testimonianza del personaggio, come se egli fosse sotto processo e dovesse fornire una garanzia di veridicità; il rifiuto del discorso diretto, con il ricorso estremo all’indiretto libero, la focalizzazione continua sul protagonista, la riduzione delle descrizioni all’essenziale, persino la lunghezza standard dei capitoli, tutto nella tecnica narrativa di Tabucchi tende a oggettivare i fatti dando loro forza probatoria.

Ma attenzione, il risultato finale è solo nel complesso valido, almeno considerando l’aspetto estetico-letterario. Di notevole rilevanza è il dramma personale del protagonista, perfettamente descritto e contestualizzato: lo scavo psicologico è ottimamente riuscito, il lettore «vive» con lui la vicenda, condividendone l’insicurezza e le scelte che ne segnano la progressiva presa di coscienza. La modernità del personaggio è innegabile, soprattutto con la sua mancanza di azione dei primi capitoli.  Sennonché, l’interesse personale dello scrittore, la sua scelta di un linguaggio semplice e denotativo e lo stesso modo della narrazione, tutto concentrato sulla prospettiva di Pereira, gli impediscono di approfondire alcuni motivi della trama e di rappresentare con la stessa forza gli altri personaggi: quello di Monteiro Rossi, con il suo idealismo miope, pecca di astrattezza e di scarsa credibilità a causa soprattutto della sua incoerenza, tra avvedutezza e sprovvedutezza, furbizia e ingenuità; Marta è troppo fredda e distaccata, troppo sicura di sé per essere «vera» nella sua sofferenza; Silva, il docente universitario, e il direttore del giornale, entrambi marionette in mano alla dittatura, non hanno anima; la signora tedesca incontrata in treno e il dottor Cardoso, destinatori e aiutanti di Pereira, sono schematici, tipici personaggi-funzione; persino padre Antonio, personaggio dalle potenzialità straordinarie, è contraddittorio, poco convincente nel suo atteggiamento (si confrontino tra loro i capitoli 2 e 19, con le pur importanti riflessioni sul Vaticano, gli intellettuali cattolici e la Spagna).  E, come se non bastasse, le domande che chiudono regolarmente ogni capitolo esprimono implicitamente una sorta di ironia o di giudizio critico nei confronti di Pereira, annullando gli effetti della focalizzazione e rivelando l’atteggiamento negativo dell’autore. Occorre dire che l’amore per la tesi sottrae spazio al dramma psicologico, svuotandolo dal di dentro (ma non del tutto, per fortuna) e vanificando in parte il processo di immedesimazione del lettore con la progressiva maturazione politica del protagonista.  Inoltre, la narrazione tocca in vari momenti il tema letterario con perizia e competenza, ma manca di svilupparlo come meriterebbe, ancora una volta per l’urgenza di dire, di insegnare, di proporre delle posizioni ideologiche che il lettore farebbe comunque sue.  Mi riferisco ai godibilissimi necrologi, tra gli altri, di Marinetti e di D’Annunzio, alle citazioni del romanzo francese ottocentesco, alla menzione significativa di Bernanos e Mauriac: l’aperta citazione esclude la suggestione della reminiscenza letteraria o l’allusione di un suggerimento interpretativo.

In realtà, Tabucchi ha scritto un romanzo che ha dei limiti sul versante strettamente letterario, ma che ha il merito di darci una «prova» efficace di un momento storico che non abbiamo il diritto di dimenticare o di mistificare. Il suo valore è soprattutto di denuncia ideologica e politica; la sua riuscita artistica è soltanto parziale, è vero, ma il suo possibile impatto culturale, oggi, ne consiglia la riproposta.

Un’ultima considerazione: libri come «Sostiene Pereira», nella loro densità ed efficacia, ma soprattutto nella loro sincerità, sono esempi validi di antifascismo vero, da contrapporre a quello di facciata di tanti pseudo-intellettuali odierni e di politici a caccia di voti, desiderosi di rifarsi una verginità dopo aver consentito e legittimato per anni il potere dell’ex Cavaliere.

3 commenti

  1. Ho letto il libro e condivido sia le critiche sull’impianto letterario sia le riflessioni che si connettono, purtroppo, all’oscuro presente che stiamo vivendo.
    La Storia è ovunque e combatteremo la rivoluzione più importante soltanto studiandola.

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