UNA SERATA CON MAJID CAPOVANI (28° incontro del Caffè Letterario a Zurigo, 22 marzo 2024)

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È possibile in letteratura conciliare le esigenze estetiche di un romanzo, che esiste sempre e comunque in una cornice storica e culturale, con regole e divieti socialmente riconosciuti, con la necessità di esprimere la sofferenza e il dolore in cui il mondo precipita noi uomini del XXI secolo, immersi come siamo in un’epoca di migrazioni, di guerre e di odi religiosi e ideologici? E, al contrario, dolore e sofferenza possono essere riversati in un romanzo nel modo più aspro e urticante possibile, al di fuori della cosiddetta “normalità”? O narrare significa in sé e per sé saper edulcorare i contrasti e smussare gli angoli, rendere impermeabile alla nostra coscienza ciò che ci turba e disturba, tentando di piacere sempre e comunque a un pubblico di lettori/consumatori che il mercato rende tiranno? Interrogativi del tempo che fu, forse. Eppure l’opera di esordio del giovane Majid Capovani (autore di questo suo primo libro a soli 17 anni) impatta sulle nostre coscienze, abituate a discorsi paludati e rassicuranti, mettendoci di fronte all’alternativa tra una realtà ripugnante, irriducibile al bon ton, da una parte, e l’oblio, dall’altra, della materialità a favore dell’immaginario mediante parole artefatte e false. Il romanzo di Majid Capovani, «L’Esercito dei Soli», pubblicato dalla casa editrice InKnot due anni fa, affronta e propone una realtà che è impossibile attenuare e rendere gradevole al lettore medio conformista.
«L’Esercito dei Soli» racconta la vicenda cruda e drammatica di Romeo, un diciottenne fragile e inesperto, che si illude di ovviare alle frustrazioni della sua vita “normale” cedendo alla propaganda dei foreign fighters e aderendo alle idee della jihad islamica. Si arruola nell’Isis facendosi chiamare Majid Al’itali. Lo ritroviamo in un campo di addestramento militare nella penisola del Sinai, mosso dalla rabbia di un giovane che vuole sostituire alla sua solitudine e al suo pessimo rapporto con il padre “qualcosa”, un’entità a cui appartenere per sentirsi finalmente l’utile parte di un tutto. Ma si accorge presto del suo errore: quel qualcosa, l’Isis, non è che violenza e tragedia, un inferno disumano che rappresenta l’esasperazione di quello stesso mondo che voleva respingere e di quei disvalori che lui voleva ripudiare. Di fronte all’agghiacciante realtà di torture, decapitazioni, esecuzioni sommarie, laddove uccidere è il cardine di ogni comportamento, Romeo/Maijd decide pian piano di abbandonare la sua identità di miliziano islamista e l’orrore di una città controllata dal Califfato; inizia così la sua fuga dalla vergogna della guerra per raggiungere, con la libertà, la sua stessa redenzione. Ma non da solo, la speranza che riesce a debellare la pulsione di morte gli verrà dai compagni di prigionia (soprattutto il fedele amico Salah) e da una giovanissima reporter rapita e fatta ostaggio, Giulietta, di cui si innamora.

In occasione del 28° incontro del Caffè Letterario a Zurigo, al Punto de Encuentro il 22 marzo scorso, l’autore ha presentato sé stesso e il suo libro, rispondendo alle molte domande del pubblico, vivamente interessato.
Majid Capovani, neolaureato in Filosofia, conferma le sue tesi di antropologia culturale sull’estremismo islamico in un’opera prima che ha ricevuto una menzione d’onore al concorso letterario nazionale ‘Qulture ti pubblica – Una Ghirlanda di libri’. Majid, inoltre, oggi venticinquenne, non è solo uno scrittore al suo libro di esordio, ma un militante per i diritti delle persone transgender e non binarie, che in internet si definisce trans, queer, femminista e kemetista (aderente, cioè, a una religione risalente all’antico Egitto). Formatore e attivista per i diritti umani, cinque anni fa è stato selezionato membro del ‘Youth for Gender Equality Forum’ presso il Parlamento Europeo di Bruxelles.
Durante l’incontro Majid ha chiarito che la vicenda di Romeo, radicalizzato islamista (si chiamerà Majid, cioè «animo nobile»), non è altro che uno sbocco possibile a uno stato di disagio estremamente complesso, molto diffuso tra i giovani e trasversale a molti strati di popolazione. Ispiratosi alle teorie del politologo Olivier Roy, l’autore sostiene che non è l’Islam a radicalizzare i giovani, ma costoro, nella loro protesta di persone sole (da qui “l’esercito dei soli”), a radicalizzare l’Islam. Se scelgono di lasciare tutto per affrontare un ignoto che si svelerà più tardi in tutto il suo orrore, è perché mal sopportano la cultura e l’estetica che esaltano l’esclusione, la competizione, la prevaricazione e la violenza. Il punto è che lo Stato Islamico non solo non offrirà un’alternativa al protagonista, ma costituirà invece l’apice della perversione e della violenza più gratuita. L’Islam offrirà una falsa cornice ideologica a un malessere che lo stesso Majid, l’autore, ha in qualche modo vissuto personalmente. Con la differenza che Majid Capovani ha trovato negli studi e nella scrittura una giusta forma di affermazione personale. Il protagonista del romanzo (un “angelo caduto”?) troverà invece nell’amicizia di Salah e nell’amore di Giulietta la forza morale per ribellarsi ai miliziani e per intraprendere una fuga dal Sinai quanto mai pericolosa e avventurosa (raccontata, tra l’altro, in modo concitato, quasi “urlato”).

L’autore, sollecitato dalle domande del pubblico, ha tenuto a sottolineare come il protagonista, nonostante la drammaticità degli avvenimenti, mantenga miracolosamente un minimo di equilibrio e serenità accanto a un sicomoro, albero che nell’antica religione degli Egizi simboleggiava la rinascita dopo la morte; questo rifugio prepara il percorso di redenzione di Romeo/Majid e la scoperta del suo sé più autentico. Il ritorno in Italia sarà il punto di approdo di questo processo: certo, una salvezza turbata dall’atteggiamento ostile del padre e dalle turbe da stress successive alla sua esperienza tra i miliziani, ma pur sempre una salvezza.
Consapevolezza e senso di responsabilità sono il coronamento del processo di formazione del protagonista, mosso come tanti suoi coetanei dalla difficile ricerca di un senso di appartenenza. L’autore, per mostrare quanto dolore e sofferenza celino le esistenze di tanti, troppi giovani in Occidente, ha voluto provocare i lettori con una narrazione volutamente cruda, aspra nei toni e impietosa nella descrizione di un inferno in terra che purtroppo esiste, come rivelano gli attuali avvenimenti internazionali. Ciò nonostante, ha saputo offrire al lettore una via di salvezza, una prospettiva pacificatrice che troverà il suo vero compimento nel secondo romanzo, già in preparazione, una continuazione destinata ad approfondire i grandi temi toccati (o solo sfiorati) da «L’esercito dei soli». Lo stesso Majid Capovani ha ammesso che la sua opera prima, un po’ “acerba”, è sostanzialmente il preludio a un nuovo romanzo, una prova più matura del suo ingegno e della sua capacità di scrittura. Aspettiamolo con fiducia.

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