PADRI E FIGLI, UN BEL PROBLEMA: UNA RIFLESSIONE E DUE POESIE (Vittorio Panicara)

 

I mestieri più difficili in assoluto sono nell’ordine il genitore, l’insegnante e lo psicologo, parola di Sigmund Freud.

Sì, vale la pena di riflettere su un tema, il rapporto tra padri e figli, che ha appassionato uomini e scrittori di tutte le età. Non sarà il caso in questa sede, anche se sarebbe interessante,  di riparlare del complesso di Edipo e di approfondire le contraddizioni di questo rapporto, ma sarà possibile mostrare  alcuni aspetti di una problematica così vasta. E va precisato che per il rapporto, altrettanto complesso, della relazione madre-figlio valgono considerazioni analoghe, ma non uguali.

L’AFFETTO

Nulla è più dolce a udirsi delle parole d’un padre che loda suo figlio (Menandro, Frammenti): nulla di più vero. Analogamente,  come insegnava Freud, perdere il padre è il lutto più grande nella vita di un uomo.

Leggiamo su questo tema una poesia di Sibilla Aleramo:

 

Ricordo

 

Sempre che un giardino m’accolga

io ti riveggo, Padre, fra aiuole,

lievi le mani su corolle e foglie,

vivo riveggo carezzare tralci,

allevi rose e labili campanule,

silenzioso ti smemorano i giacinti,

stai fra colori e caldi aromi, Padre,

solitario trovando, ivi soltanto,

pago e perfetto senso all’esser tuo.

 

Sibilla Aleramo

 

LE DIFFICOLTÀ

Il legame affettivo tra un genitore e il proprio figlio è forse il più intenso in natura, ma, tornando al tema iniziale, prevede un compito educativo tremendamente difficile, che deve fare i conti con la complessità della vita e i suoi insolubili problemi. E forse la difficoltà per ogni uomo di arrivare alla felicità potrebbe rendere vano e privo di senso il compito parentale. Per molti questo è un paradosso, ma è anche il significato della terza strofa del leopardiano «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia», che vale la pena di rileggere:

[…] Nasce l’uomo a fatica,

Ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento

Per prima cosa; e in sul principio stesso

La madre e il genitore

Il prende a consolar dell’esser nato.

Poi che crescendo viene,

L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre

Con atti e con parole

Studiasi fargli core,

E consolarlo dell’umano stato:

Altro ufficio più grato

Non si fa da parenti alla lor prole.

Ma perchè dare al sole,

Perchè reggere in vita

Chi poi di quella consolar convenga? […]

 

Giacomo Leopardi, Canti

Forse il suggerimento leopardiano, permeato di quel pessimismo che nei manuali è detto “cosmico”,  permette di superare  concettualmente se non emotivamente i dissidi padre-figlio. Accettato il ragionamento del Canto notturno, diverrebbe infatti possibile considerare “dall’alto”, da una prospettiva meno angusta, le contraddizioni insite nel rapporto padre-figlio, poiché, se la vita è sofferenza insanabile, il contrasto tra i due, grazie alla consapevolezza dell’inevitabile infelicità, potrebbe ricomporsi e consentire uno scambio affettivo capace di superare ogni motivo di contrasto.

 

 

 

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