I mestieri più difficili in assoluto sono nell’ordine il genitore, l’insegnante e lo psicologo, parola di Sigmund Freud.
Sì, vale la pena di riflettere su un tema, il rapporto tra padri e figli, che ha appassionato uomini e scrittori di tutte le età. Non sarà il caso in questa sede, anche se sarebbe interessante, di riparlare del complesso di Edipo e di approfondire le contraddizioni di questo rapporto, ma sarà possibile mostrare alcuni aspetti di una problematica così vasta. E va precisato che per il rapporto, altrettanto complesso, della relazione madre-figlio valgono considerazioni analoghe, ma non uguali.
L’AFFETTO
Nulla è più dolce a udirsi delle parole d’un padre che loda suo figlio (Menandro, Frammenti): nulla di più vero. Analogamente, come insegnava Freud, perdere il padre è il lutto più grande nella vita di un uomo.
Leggiamo su questo tema una poesia di Sibilla Aleramo:
Ricordo
Sempre che un giardino m’accolga
io ti riveggo, Padre, fra aiuole,
lievi le mani su corolle e foglie,
vivo riveggo carezzare tralci,
allevi rose e labili campanule,
silenzioso ti smemorano i giacinti,
stai fra colori e caldi aromi, Padre,
solitario trovando, ivi soltanto,
pago e perfetto senso all’esser tuo.
Sibilla Aleramo
LE DIFFICOLTÀ
Il legame affettivo tra un genitore e il proprio figlio è forse il più intenso in natura, ma, tornando al tema iniziale, prevede un compito educativo tremendamente difficile, che deve fare i conti con la complessità della vita e i suoi insolubili problemi. E forse la difficoltà per ogni uomo di arrivare alla felicità potrebbe rendere vano e privo di senso il compito parentale. Per molti questo è un paradosso, ma è anche il significato della terza strofa del leopardiano «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia», che vale la pena di rileggere:
[…] Nasce l’uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga? […]
Giacomo Leopardi, Canti
Forse il suggerimento leopardiano, permeato di quel pessimismo che nei manuali è detto “cosmico”, permette di superare concettualmente se non emotivamente i dissidi padre-figlio. Accettato il ragionamento del Canto notturno, diverrebbe infatti possibile considerare “dall’alto”, da una prospettiva meno angusta, le contraddizioni insite nel rapporto padre-figlio, poiché, se la vita è sofferenza insanabile, il contrasto tra i due, grazie alla consapevolezza dell’inevitabile infelicità, potrebbe ricomporsi e consentire uno scambio affettivo capace di superare ogni motivo di contrasto.
