
Quando vidi i miei poveri genitori, curvi sotto il lume intorno alla mensa, li salutai d’un sorriso smarrito, e mi parve di comprendere per la prima volta il nome di quella triste debolezza ch’era fissata sui loro volti. Era lo smarrimento che riempiva la mia stessa anima, la triste debolezza di esseri che il Padre ha creati, per giuoco, e dimenticati.
Anna Maria Ortese, Occhi obliqui, in L’Infanta sepolta, Ed. Adelphi, pp. 35-36.
