Olga Tokarczuk: una scrittrice polacca contro la xenofobia

MJK32719_Olga_Tokarczuk_(Pokot,_Berlinale_2017).jpgÈ uscito la scorsa settimana (in cartaceo) su The New Yorker un articolo firmato Ruth Franklin, dal titolo Past Masters, incentrato sulla figura della scrittrice polacca Olga Tokarczuk e sul rapporto tra le sue opere e la scena politica della Polonia di oggi.

Per chi non la conoscesse, Olga Tokarzcuk, nata a Sulechów (Polonia) il 29 gennaio1962, è un’autrice, traduttrice e attivista politica, proveniente da una famiglia mista ucraino-polacca con antenati cechi.

Ha pubblicato diversi romanzi e raccolte di racconti in polacco, nei quali cerca di rivisitare il passato della sua nazione riproponendolo nel contesto odierno, con lo scopo di fornire una visione della Polonia opposta a quella portata avanti dal partito popolare di destra attualmente al potere, Diritto e giustizia, che la ritrae come una nazione omogenea e radicalmente cattolica. Questa mitologia dell’unità è in ascesa grazie ad una politica razzista e xenofoba che negli ultimi anni ha trovato terreno fertile e che è riuscita a far varare leggi come quella che vieta qualsiasi discussione sul tema del collaborazionismo polacco durante l’occupazione nazista. Al punto che, una volta al potere, Diritto e giustizia ha modificato addirittura i curricula scolastici, imponendo ai docenti, per esempio, di insegnare la storia solo da una prospettiva polacca, o di trattare solamente i classici della letteratura nazionale, dalla quale la scrittrice è, per ovvi motivi, esclusa.

A tutto questo tenta di opporsi il partito progressista, delle cui idee è portavoce la stessa Tokarczuk. Nelle sue opere, infatti, viene valorizzato il multiculturalismo e ribadita l’importanza delle minoranze etniche e religiose all’interno della nazione polacca. Il lettore incontra così personaggi ebrei, ucraini o cechi: poiché l’autrice si propone di mettere in discussione l’ortodossia politica della destra, spronando i suoi lettori a riconsiderare anche i lati più bui della storia nazionale. L’eresia, commenta la scrittrice, è fondamentale, in quanto rivela i limiti del convenzionale, permettendo l’esercizio del pensiero libero. Evocative le parole con cui descrive la sua nazione: “forse è qualcosa come un vaso rotto: utile finché tiene la colla, ma molto instabile. Tuttavia, se davvero non può esistere una cultura polacca che includa anche quella ucraina o ebraica, cosa accadrà quando queste minoranze verranno soppresse o sterminate? La colla cederà e i pezzi del vaso cadranno da tutte le parti” (T.d.E).

Si può facilmente intuire quanto il tema politico sia dunque centrale per la Tokarczuk; anche per questo ha ricevuto minacce, è stata più volte accusata di tradimento, e qualche esponente della destra ha addirittura chiesto che le venga tolta la cittadinanza. Ma anche se da alcuni viene considerata un personaggio anziano e eccentrico, tuttavia i libri della Tokarczuk hanno riacceso, tramite la rete, il dibattito nel mondo culturale polacco, favorendo la discussione e lo scambio di idee, unici veri strumenti che abbiamo per lottare contro l’intolleranza e la paura del diverso.

In America, pochi dei suoi libri sono stati finora tradotti, ma è la sua entrata nel mondo culturale anglofono ad averla resa famosa, grazie anche alla vittoria del International Man Booker Prize del 2018. In Italia, invece, troviamo diversi titoli, tradotti anche da case editrici importanti come Marsilio e Bompiani, di cui diamo un elenco che potete trovare su Amazon con il relativo link:

La scrittura della Tokarczuk è di tipo mistico, astratto e surreale; al suo interno si avverte chiara l’influenza degli studi di psicologia di stampo junghiano condotti all’università. Lei stessa, in un’intervista a Rai Radio 3, ha definito la scrittura come una “psicosi controllata”, poiché la necessità di trovare una forma per il contenuto che vuole veicolare diventa quasi un’ossessione. Senza questo tipo di fissazione non sarebbe in grado di scrivere; l’atto della creazione viene perciò definito come un’esperienza totalizzante che le impedisce di dedicarsi a qualsiasi altra attività. Maggiore è la forza di questa ossessione, continua l’autrice, migliore sembra essere il risultato.

In Italia, è uscito da pochi mesi Vagabondi,unaraccolta di racconti che tenta di offrire un’alternativa all’ormai inflazionata narrativa di viaggi di stampo tradizionale. In quest’opera si ridefinisce il rapporto tra l’io, la scrittura e il nomadismo, attraverso una concezione del movimento come dimensione naturale e ancestrale dell’essere umano; e al lettore viene chiesto di ricostruire da sé il messaggio soggiacente che unisce i racconti con temi importanti che comprendono, oltre a quello dell’inclusività, una acuta riflessione sull’individuo e sull’accoglienza.

Questo è quanto posso dirvi per ora su questa scrittrice, dopo aver letto opinioni e critiche provenienti dal mondo della cultura americana e italiana. Ma le tematiche da lei sollevate mi incuriosiscono molto, perché, pur riferendosi alla Polonia, sono attuali anche in un’Italia in cui si aggirano gli spettri tenaci del razzismo e della xenofobia. E in questo contesto anche europeo, leggere un’autrice che insiste sull’accoglienza e sull’importanza del multiculturalismo non può che dare spunti di riflessione costruttivi.

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