Il pregiudizio linguistico e il razzismo nell’ultimo libro di Andrea Moro La razza e la lingua

41Qln4MFyIL._SY445_QL70_.jpgIl tema del razzismo è quanto mai attuale in un periodo che ha visto il ritorno al potere di destre estreme e di una politica europea sempre meno inclusiva rispetto alle diversità culturali e etniche. Forse il lettore medio non si scandalizzerà, anche se dovrebbe, nel sapere che la parola “razza” è presente addirittura nella nostra Costituzione, art.1 comma 3: 

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Non si tratta qui di demonizzare una parola, quanto di rendersi conto che il concetto da essa veicolato è scientificamente impraticabile. Per una discussione più approfondita di questa problematica vi segnalo l’articolo di Melzi d’Erik e Vigevani Razza, quella «parola maledetta» inserita nella Costituzione, e quello di  Guido Barbujani Ma che razza di idea confusa. Va tuttavia detto che sarebbe opportuno sostituire un termine talmente equivoco in un documento così fondamentale per la nostra democrazia come lo è la nostra Costituzione, affinché esso non possa essere usato (come ahimè è già successo) come punto di partenza per accettare una differenziazione che scientificamente non ha nessuna ragione di esistere.

L’ultimo libro di Andrea Moro La razza e la lingua, un’opera divulgativa edita da La nave di Teseo nell’agosto del 2019, tratta proprio di questo tema. Cosa c’entra la razza con la lingua? In realtà molto più di quello che potremmo pensare, giacché, così come esistono pregiudizi che considerano certe etnie più sviluppate di altre, così è ancora attuale l’idea che certe lingue siano migliori delle altre. Ce lo racconta lo stesso Moro che, nel secondo capitolo del libro, descrive proprio come sia nato quest’ultimo tipo di pregiudizio. Nell’Ottocento, con l’avvento e lo sviluppo della linguistica comparativa, che, almeno all’inizio, si basava su un’analisi neutrale delle varietà linguistiche, si radicò l’idea secondo la quale le lingue flessive, fossero più adatte a veicolare il pensiero. Da qui la frenologia prende le mosse  sostenendo che parlare diverse lingue significhi avere cervelli diversi:

Questo clima spingerà Benfrey e Whitney […] ad affermare che i cinesi e gli inglesi parlano in modo diverso perché il loro cervello è diverso.

Questo tipo di pregiudizio viene definito dall’autore “razzismo linguistico”. 

Nel Novecento, gli studi di Noam Chomsky, linguista di fama mondiale che pone la sintassi al centro delle sue ricerche, mettono in luce come tutte le lingue siano di fatto gestite da uno stesso hardware, ossia l’insieme dei correlati neurobiologici del linguaggio, che opera tramite regole matematiche inconsce, ma sostanzialmente identiche. Ne consegue, in maniera molto comprensibile per il lettore neofita, che parlare di lingue migliori o peggiori non abbia alcun senso: il razzismo linguistico non ha basi scientifiche! Questo vale anche per il rapporto tra lingue e dialetti: un altro mito da sfatare è quello per cui i dialetti non sono altro che versioni corrotte e semplificate delle lingue. Al contrario, i dialetti sono sistemi linguistici dotati di piena autonomia su ogni versante linguistico (suoni, parole, frasi e usi comunicativi) e per tanto non sono altro che lingue private del loro statuto politico. 

L’opera di Moro si conclude ribadendo la tesi che ne ha costituito il filo rosso: 

[…] tutte le lingue non sono che variazioni sul tema di un’unica struttura biologicamente determinata, ma non è ragionevole ammettere che per comprendere come funzionino le lingue basti studiarne una sola: la comparazione tra lingue è, se non per ragioni di principio almeno per ragioni di fatto, un’esperienza indispensabile per comprendere la struttura del linguaggio.

Esiste quindi un network neurobiologico innato responsabile della facoltà di linguaggio che si concretizza nell’uso di lingue diverse. Chiaro quindi che per capire in cosa consista questa facoltà astratta sia necessario studiarne tutti i prodotti. 

La razza e la lingua è un libro di cui il pubblico non professionista aveva bisogno, prima di tutto per capire di cosa si occupa la linguistica, che per molti è ancora un mistero (basti pensare alla classica credenza per cui il linguista altri non è se non una persona che parla molte lingue); ma soprattutto per parlare del pregiudizio linguistico come di una forma grave di discriminazione priva di base scientifica. Non esistono lingue più sviluppate di altre e non ci sono nemmeno troppe evidenze per dire che la lingua che parliamo riflette il nostro modo di vedere il mondo.

Tuttavia, ci sono due cose che personalmente mi hanno lasciata perplessa: il titolo dell’opera e il termine di “razzismo linguistico”. Tralasciando, l’introduzione, nel libro di razza si parla ben poco, vuoi perché Moro non è un biologo o un antropologo, vuoi perché il focus è sul linguaggio.  Questo aspetto mi ha lasciata un po’ interdetta, soprattutto se si pensa che il sottotitolo del libro è sei lezioni sul razzismo. Mi sarei aspettata, quindi, un’opera che viaggiasse su due binari paralleli: da un lato, la nascita e lo sviluppo del razzismo, dall’altro il tema del pregiudizio linguistico, entrambi poi sconfessati negli ultimi capitoli sulla base di argomentazioni scientifiche. Ma le cose non sono andate così e a parer mio il libro si sarebbe potuto chiamare tranquillamente “Le lingue e il linguaggio, sei lezioni sul pregiudizio linguistico”, con un’appendice sul pregiudizio di natura razzista. La seconda critica riguarda il concetto di razzismo linguistico, che secondo me è un po’ fuorviante: pensare che alcune lingue siano migliori può portare a credere che un popolo sia migliore in quanto parla una certa lingua, ma questo è intendere il razzismo in un senso molto ampio. Per quanto mi riguarda, il razzismo è una cosa ben chiara che si basa sull’idea che due etnie siano diverse da un punto di vista biologico. Parlare quindi di pregiudizio linguistico come di una forma di razzismo non è un’argomentazione che mi abbia proprio convinta. 

Detto questo, La razza e la lingua è un libro molto attuale che consiglio a tutti coloro che non conoscono questo campo di ricerca, in quanto riflette in maniera molto chiara sulla natura di ciò che ci rende umani: il linguaggio

2 commenti

  1. […] Ai più parrà un cambiamento formale, e forse lo è, ma ricordiamoci che nei momenti peggiori, quelli incerti, quelli della politica in cui tutto fa brodo, quelli, insomma, dove contano i numeri ma non i temi, la Costituzione è l’unico caposaldo a cui possiamo aggrapparci in qualità di cittadini. Ecco perché è importante che quest’ultima rispecchi la sensibilità, non tanto della Nazione che siamo, ma della Nazione che vogliamo essere. Si capisce, dunque, che molti sono ancora i cambiamenti da implementare, non da ultimo l’abolizione della parola «razza» che ancora campeggia nel primo articolo, come vi raccontavo in Il pregiudizio linguistico e il razzismo nell’ultimo libro di Andrea Moro La razza e la lingua […]

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