Incipit del giorno ~ 31 luglio 2020

6155qaAiokLSono nata il 9 gennaio 1908, alle quattro del mattino, in una stanza dai mobili laccati in bianco che dava sul boulevard Raspail. Nelle foto di famiglia fatte l’estate successiva si vedono alcune giovani signore con lunghe gonne e cappelli impennacchiati di piume di struzzo, e dei signori in panama, che sorridono a un neonato: sono io. Mio padre aveva trent’anni, mia madre ventuno, e io ero la loro primogenita. Volto una pagina dell’album; la mamma tiene in braccio un neonato che non sono io; io porto una gonna pieghettata e un berretto, ho due anni e mezzo, e mia sorella è appena nata. A quanto pare, io ne fui gelosa, ma per poco. Per quanto lontano riesco a spingere la memoria, ero fiera d’essere la più grande: la primogenita. Mascherata da Cappuccetto rosso, con la focaccia e il burro nel panierino, mi sentivo più interessante d’una lattante chiusa nella sua culla. Io avevo una sorellina, ma lei non aveva me.
Dei miei primi anni non ritrovo che un’impressione confusa: qualcosa di rosso, e di nero, e di caldo. L’appartamento era rosso, rossa la mochetta, la sala da pranzo Enrico II, il broccato che mascherava le porte a vetri, e le tende di velluto nello studio di papà; i mobili di quella stanza sacra erano in pero scurito; io m’accovacciavo entro la nicchia sotto la scrivania, e mi avvoltolavo nelle tenebre, era scuro, era caldo, e il rosso della mochetta mi feriva gli occhi. E’ così che passai la mia primissima infanzia. Guardavo, palpavo, apprendevo il mondo, al riparo.

Simone de Beauvoir, Memorie d’una ragazza perbene, 1958

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