IL 15° INCONTRO DEL CAFFÈ LETTERARIO: LUIS SEPÚLVEDA E «IL VECCHIO CHE LEGGEVA ROMANZI D’AMORE», 28 maggio 2021, zoom (a cura di Vittorio Panicara)

Un libro giustamente famoso, «Il vecchio che leggeva romanzi d’amore» (edito nel 1989, pubblicato in Italia nel 1993 da Guanda) di Luis Sepùlveda (morto un anno fa di Covid 19), è stato ampiamente discusso dai lettori del Caffè, riuniti ancora una volta in modalità digitale a causa della pandemia.

Ambientato nella foresta amazzonica ecuadoriana, il romanzo racconta essenzialmente di Antonio José Bolìvar Proaño, il vecchio che legge romanzi d’amore, e della spedizione di caccia a un tigrillo femmina, che sta uccidendo molti uomini, dopo che un cacciatore bianco ha sterminato i suoi piccoli. Esperto della foresta per aver vissuto, in una sorta di esilio, tra gli indigeni seminomadi, gli indios shuar, Antonio è a capo della spedizione, accompagnato da un gruppo di uomini del villaggio e dal repellente sindaco di El Idilio, dove Antonio vive. Il passato del protagonista, raccontato con un’ampia analessi, è quello di un uomo che nella sofferenza della vita ha trovato conforto nella lettura di romanzi d’amore che fa venire apposta dal capoluogo. Ha un passato da colono ed è stato sposato, ma ora è solo e ha pochi amici, tra cui uno pseudo dentista. Ma il fulcro del racconto è la parte finale, quella della caccia, che con accenti epici ci mostra nella scena conclusiva l’uccisione dell’animale da parte di Antonio, consapevole dell’ingiustizia che è stato costretto a compiere. Si leggano in proposito le ultime righe:

Antonio José Bolìvar Proaño si tolse la dentiera, l’avvolse nel fazzoletto, e senza smettere di maledire il gringo primo artefice della tragedia, il sindaco, i cercatori d’oro, tutti coloro che corrompevano la verginità della sua Amazzonia, tagliò con un colpo di machete un ramo robusto, e appoggiandovisi si avviò verso El Idilio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana.

Nel libro è facile riconoscere temi come quelli della civilizzazione, della foresta come natura offesa, del rapporto tra gli uomini e gli animali, o tra il colonialismo e la cultura atavica degli indios. Con uno sviluppo narrativo ristretto in poco più di 120 pagine, l’autore propone sia un ambientalismo ecologico incline a ridefinire il nostro concetto di «civiltà», sia l’istanza di un’idea di giustizia che non sia fine a se stessa (non per niente l’autore ha dedicato il libro all’ambientalista Chico Mendes, trucidato poco tempo prima). Su “come” Sepùlveda sia riuscito a svolgere un compito così arduo i pareri dei presenti non sono stati concordi: c’è chi ha parlato di una “favola” moraleggiante imperniata su di un protagonista talmente visionario da collocarsi al limite della realtà, mentre qualcun altro ha inquadrato il racconto nell’ambito di un realismo crudo, di certo non magico, volto a coinvolgere emotivamente il lettore e a indurlo contemporaneamente alla riflessione più amara; da una parte la presenza di più piani temporali è stata molto apprezzata, ma dall’altra è stato anche evidenziato qualche neo nella tecnica narrativa (flashback fin troppo estesi, inizio del racconto un po’ lento); quanto agli aspetti linguistici, c’è chi ha constatato il ricorso a una sintassi fin troppo semplice, con uno stile spesso paratattico, contrariamente a coloro che piuttosto sottolineavano la presenza costante di metafore e similitudini, o di descrizioni così dettagliate da farci quasi “vivere” certe scene.

Il libro ha suscitato in tutti un vivo interesse, anche se il gradimento, come si è visto, non è stato uniforme. Chi aveva letto il racconto per ragazzi «Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare» ha ritrovato nella vicenda la stessa magia, la stessa felicità espressiva. A qualcuno è sembrato quasi di “vedere” le scene nella foresta amazzonica attraverso le pagine di un autore così votato all’ecologia. Nel caso de «Il vecchio…» si potrebbe parlare perfino di “un’ode alla natura” in un contesto post-coloniale, di una vicenda in cui ad essere offesa e violata è la terra, la natura bella e feroce della selva. E a difendere e a garantire questa rimane il protagonista, strenuo avversario dei gringos, cioè del potere dei bianchi.

Sepúlveda, come ha sostenuto recentemente la sua traduttrice Ilide Carmignani, voleva

dare voce a chi non ha voce

 e sicuramente nei suoi libri ci è riuscito, anche se nel «Vecchio che leggeva romanzi d’amore» le convinzioni ideologiche sono forse preminenti rispetto alle esigenze della resa artistica, tanto è vero che ne risente la stessa chiarezza espositiva del testo. In effetti, il motivo profondo che spinge Antonio a leggere romanzi d’amore rimane poco definito: il libro è un rifugio sicuro dal male degli uomini, o un’effimera illusione, o un’aspirazione negata a una realizzazione più completa di se stessi?

In generale, con Sepùlveda si afferma un tipo di letterato-intellettuale che somma l’impegno letterario a quello civile e umano, uno scrittore che è calato nella Storia e che vi opera attivamente. La sua stessa produzione letteraria è assai varia e scaturisce dalle vicende reali della vita, dal viaggio di «La frontiera scomparsa» verso il paese dell’utopia (ma passando attraverso il ricordo della tortura subita nelle carceri di Pinochet), all’itinerario del celebre «Patagonia Express», a «Le rose di Atacama» (un fitto intreccio di racconti), le quali ci ricordano che la vita è una stoica forma di resistenza. E appunto «Raccontare, resistere», un magistrale libro-intervista, racchiude il segreto di una poetica realistica e utopistica allo stesso tempo, espressione di una lotta per la giustizia e per l’ambiente che nonostante tutto si fonde con il senso vero della scrittura. Niente di più lontano, dunque, da tanti autori, anche italiani, attuali o del passato, che “separano” nettamente la loro grigia esistenza nel mondo, spesso al riparo del potere, dalle loro opere, qualunque sia il livello estetico di queste ultime.

Un commento

Lascia un commento