L’adolescenza patologica in “Un giorno questo dolore ti sarà utile” di Cameron (recensione di Maresa Schembri).

Un giorno questo dolore ti sarà utile è un romanzo, scritto dall’americano Cameron, che ha come protagonista un adolescente di nome James, figlio di stravaganti genitori separati e lavoratore presso una galleria d’arte che ospita artisti di ultimo grido ma dove nessuno compra mai niente.

La madre è un’artistoide proprietaria della galleria dove lavora il figlio, sposata più volte e presa dai suoi fallimenti sentimentali; il padre è un avvocato preoccupato del suo aspetto fisico, incapace di comprendere le esigenze del figlio; la sorella, studentessa universitaria, ha una relazione con il suo professore, è attenta alle tendenze giovanili e non è abile ad instaurare un buon rapporto col fratello che ritiene fuori di sé.

Ma ad essere eccentrica non è soltanto la famiglia di James, ma proprio lui stesso. Infatti, Cameron ci presenta un ragazzo fuori dagli schemi, che non ama viaggiare, socializzare, che ha fatto della solitudine il suo modus vivendi. Lui stesso dichiara di non divertirsi con gli altri in quanto “le persone non dicono granchè di interessante”. Dunque, si annoia. Per lui “bisognerebbe parlare solo se si ha da dire qualcosa di interessante o di necessario”, pesando le parole con l’attenzione tecnica di chi non lascia nulla al caso. Da ciò deriva il suo disagio in mezzo agli altri, in mezzo alla gente con cui un rapporto non gli è naturale e, per questo, gli richiede uno sforzo che lui stesso non sa gestire. James non è un ragazzo vitale, frizzante e divertente; anzi, è un asociale consapevole della propria diversità.

A un certo punto mi ricordo di essermi chiesto se non fossi geneticamente modificato, se non avessi una minuscola alterazione del DNA che mi separava appena appena ma in modo fondamentale dalla mia specie, un po’ come i muli che possono accoppiarsi con gli asini ma non con i cavalli (mi pare). Sembrava che tutti fossero in grado di accoppiarsi, di unire le proprie parti in modi piacevoli e fecondi, ma nella mia anatomia e nella mia psiche c’era qualcosa di impercettibilmente diverso che mi divideva in modo irrevocabile dagli altri. Era una sensazione dolorosa che mi rendeva molto infelice. Mi ha fatto piangere nel bagno degli uomini del Russel Building. E desiderare di non essere vivo”.

Tale diversità se da un lato è genetica, naturale, dall’altro sembra costruita per voler differenziarsi volontariamente dagli altri, che reputa mediocri e prevedibili, demoralizzandolo. Nel suo microcosmo ogni cosa deve essere studiata, deve avere un ordine in modo tale da poterla controllare: la casualità gli genera paura. E questo tentativo di dominio quasi ossessivo sulla realtà si esprime anche nel linguaggio che usa. Difatti, vi è un’attenzione maniacale per un uso appropriato delle parole che, secondo James, dovrebbero essere impiegate in modo chiaro, corretto e preciso, senza sbavature contenutistiche o grammaticali.

Quando i suoi genitori, incapaci di ascoltarlo, decidono di affidare questo ingrato compito ad una psichiatra, mandandoglielo forzatamente, James dichiara:

La Adler mi aveva detto di dire sempre qualunque cosa mi passasse per la testa, ma per me era difficile, perché per me l’atto di pensare e quello di esprimere i pensieri non sono simultanei, e neppure necessariamente consecutivi. So di pensare e parlare nella stessa lingua, e so che in teoria non c’è ragione per cui io non possa comunicare i miei pensieri non appena si formano o immediatamente dopo; eppure la lingua in cui penso e quella in cui parlo sembrano spesso talmente lontane che mi pare impossibile colmare il vuoto sul momento, o anche retroattivamente”.

Tali riflessioni veicolano una impossibilità di comunicazione tra se stesso e il mondo esterno, uno svilimento dei propri pensieri speso nell’atto di esternarli. Dunque, per non correre il rischio di esprimersi in modo inesatto, il protagonista preferisce tacere. D’altronde è proprio James a confessare di non riuscire a comprendere il motivo per cui la gente si aspetta sempre che si condivida qualcosa di tanto intimo come un pensiero , a cui lui stesso non riesce a trovare una lingua per dargli forma. E allora il pensiero resta intrappolato nella sua mente sotto forma di sensazione.

Appare, quindi, chiaro che ciò che a primo impatto sembra distintivo di un’età difficile qual è l’adolescenza, come ad esempio l’essere provocatori, qui sfocia in un vero e proprio malessere psicologico di cui, come si è visto, James è consapevole.

I personaggi che ruotano intorno al protagonista sembrano avere la funzione di sottolineare questa sua estraneità alla società, di marcare quanto il suo essere sui generis stoni con il flusso apparentemente normale del mondo. Ma c’è una figura che riesce a fa vibrare le note dell’anima di James, ed è la nonna, l’unica che gli presta ascolto e che gli dedica il tempo negatogli dagli atri. Ed è nel rapporto tra il giovane e la nonna che si nasconde il senso più profondo del romanzo, racchiuso già nel titolo, espresso in queste poche parole:

E se per te andare all’università fosse proprio uno sbaglio, se effettivamente non dovesse piacerti come temi, bè … non sarà stat un’esperienza sprecata. A volte le brutte esperienze aiutano, servono a chiarire che cosa dobbiamo fare davvero. Forse ti sembro troppo ottimista, ma io penso che le persone che fanno solo belle esperienze non sono molto interessanti. Possono essere appagate, e magari a loro modo anche felici, ma non sono molto profonde. Ora la tua ti può sembrare una sciagura che ti complica la vita, ma sai … godersi i momenti felici è facile. Non che la felicità sia necessariamente semplice. Io non credo, però, che la tua vita sarà così, e sono convinta che proprio per questo tu sarai una persona migliore. Il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono – un dono crudele, ma pur sempre un dono”.

Questo è il nucleo davvero vitale del romanzo, dove un agglomerato di pensieri vortica intorno al protagonista ma non c’è azione. Il racconto si dipana attraverso uno stile essenziale, diretto, asciutto, scevro da pomposità lessicali o da giri di parole. Già abbastanza arzigogolato è il ragionare di James. Lo scrittore adatta il carattere del romanzo a quello del protagonista che lo rappresenta, generando una compattezza d’espressione che può lasciare il lettore stordito. Nel romanzo la trama non è lineare ma si chiude su se stessa senza un procedere che porta ad una evoluzione o ad una involuzione del personaggio. Per questo motivo è azzardato parlare di romanzo di formazione; piuttosto, sembra più consono esprimersi in termini di romanzo introspettivo di singolare quanto patologica intimità.

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