Vitalità e modernità del romanzo d’appendice

L’occasione offertami la settimana scorsa con l’anniversario della morte di Carolina Invernizio (Carolina Invernizio: “l’onesta gallina della letteratura popolare”e altre storie librose di questa settimana) mi ha smosso il frizzo per un genere di cui non mi occupavo da anni, ma che però, per la sua inavvertita vitalità, merita un momento di attenzione. Mi riferisco alla voga del feuilletton che già nella prima metà dell’Ottocento si diffuse soprattutto in Francia, prima di avere ampia risonanza e imitazione europea. Si trattava, come è noto, di romanzi pubblicati a episodi sui quotidiani, e indirizzati a un pubblico di massa con lo scopo di incrementare la vendita del giornale. Di solito non si trattava tanto di capidopera, quanto di acconci canovacci, che per tenere viva la tensione narrativa ricorrevano, senza lesinare sugli effettacci, a trucchi collaudati, come interrompere sul più bello della tensione una trama da brivido, in cui personaggi poveri di sfumature psicologiche, con manichea disgiunzione, si distribuivano inequivocabilmente tra giusti e perversi, nobili e infami. 

     Sbaglierebbe, però, chi credesse che era solo di robaccia. Basti pensare che in questo modo videro la luce alcuni pilastri della letteratura, come I Miserabili di Victor HugoI misteri di Parigi di Eugène Sue, I tre moschettieri di Alexandre DumasLa signorina Cormon di Honoré de Balzac, le Mémoires du diable di Frédéric Soulié, Il Capitan Fracassa di Théophile Gautier,  e persino (chi lo crederebbe?) Madame Bovary di Gustave Flaubert. Senza dire che in Russia allo stesso modo videro la luce, a eterna gloria del feuilletton, capolavori indiscussi come Delitto e castigoI fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, nonché Guerra e pace di Lev Nikolaevič Tolstoj.

     Meno illustre, la tribuna letteraria italiana dell’Ottocento non mancò tuttavia di produrre alcune curiose opere di scapigliati (Igino Ugo Tarchetti), o i romanzi scandalistici di Evelina Cattermole (leggi: Contessa Lara). Ma vi indulsero, oltre De Marchi, a cui forse si deve il nostro primo poliziesco con Il cappello del prete, Bersezio e Valera. E se pure Una peccatrice e Trigre reale di Verga non vi diedero un contributo rilevante, in Sicilia si difesero con onore L’ultimo borghese di Enrico Onufrio, e soprattutto I Beati Paoli di Luigi Natoli. Emilio Salgari vi sguazzò a piene mani col principe malese Sandokan, e Carlo Collodi, con  Pinocchio, partorì il burattino più famoso al mondo. E  poi giù giù, da Francesco Mastriani a Matilde Serao, da Neera a Guido da Verona, da Pitigrilli e Liala, e persino, udite udite! quel raffazzonato centone di orrore e sesso che fu Claudia Particella, l’amante del cardinale, di un certo Benito Mussolini, pubblicato nel 1910 su “Il Popolo” di Cesare Battisti, di segno sfrontatamente anticlericale (prima del Concordato…). 

     Ciò non significa che la vitalità del romanzo popolare si sia poi svenata nel languido, estenuato intermezzo dei telefoni bianchi, no. Essa invece risorge imperterrita nel secondo dopoguerrra sotto forma di fotoromanzi, alimentando cine- e radiodrammi, prima che la televisione ne travasasse lo spirito nelle telenovele o nelle mai esaurite inchieste poliziesche. Operazioni tutte che riprendono gli ingredienti del romanzo d’appendice: dalla distribuzione su un mezzo di comunicazione di massa, alla frammentazione della vicenda in puntate e alla ripetitività di schemi anestetizzanti per un pubblico sonnacchioso. In tempi più recenti, poi, vi hanno fatto ricorso i trailer, per anticipare l’uscita di un blockbuster.

     Insomma, sarà proprio vero che il tanto infamato romanzo d’appendice, con le sue trame inverosimili e la sua tecnica dozzinale, sia davvero più datato delle noiose ciambelle autoreferenziali dei nostri costipati scrittori odierni? 

Non mi ci includo, beninteso, né potrei, dati alla mano, io che, con sovversiva  osservanza, ho forse votato all’infamato genere la più longeva benché infedele dedizione. Visto che, dal 4 ottobre 2006 al 19 dicembre 2018 ho pubblicato i primi sette volumi del Declino degli dèi per 12 anni consecutivi, per un totale di ben 462 puntate settimanali, su La Pagina di Zurigo. Un record, probabilmente. Anche se da allora sono ancora seguiti altri quattro tomi. Ma questa è un’altra storia. 

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