“L’arte perduta della gratitudine”: curiosità e passioni di una filosofa investigatrice

Li chiamiamo “libri di conforto”: romanzi da leggere in momenti grigi, oppure una volta conclusa un’opera particolarmente impegnativa. È il loro stile semplice e veloce, l’intreccio lineare, a renderli adatti a queste particolari circostanze, poiché capaci, in poche pagine, di alienarci dalla realtà. 

Verso la fine di dicembre, sono incappata anch’io, pur avendo più tempo a disposizione, nel ben noto blocco del lettore; non ho letto per 3 settimane: nulla pareva andarmi bene (troppo serio, troppo lungo, troppo classico, troppo moderno, troppo…). Mi è già capitato, niente di allarmante, e ho saputo rimediare prendendo in mano un autore già in passato venutomi in soccorso: Alexander McCall Smith con la sua serie di romanzi Il club dei filosofi dilettanti

Questa recensione è dedicata alla sua sesta uscita: L’arte perduta della gratitudine.

ATTENZIONE: allerta spoiler!

Sono passati un po’ di anni dall’uscita del primo romanzo, eponimo poi di tutto il ciclo, e molti sono i cambiamenti intervenuti nella vita della protagonista, Isabel Dalhousie, filosofa esperta in etica applicata, abituata ad indulgere in acuti monologhi attraverso i quali il lettore può conoscerne la dimensione più intima e psicologica, astraendo così dalla contingenza della narrazione.

Isabel è una donna dalla vibrante vita intellettuale, poliedrica, sicura di sé, riflessiva, ma pronta all’azione quando mossa dalle proprie convinzioni, capace, soprattutto, di rimanere se stessa, anche di fronte agli stravolgimenti portati dai recenti accadimenti. Tra questi c’è il rapporto con Jamie, giovane insegnante di musica, padre di loro figlio Charlie, che proprio a metà romanzo le propone (per la seconda volta) il matrimonio. 

«Che lei avesse detto sì, e poi di nuovo un altro sì, cambiò tutto, ma al tempo stesso non cambiò niente. Non c’era nessun mutamento nel suo mondo […] era sempre Isabel Dalhousie, madre, con un bambino da accudire e una casa e una rivista di filosofia da mandare avanti. Era ancora responsabile del suo giardino […], era sempre proprietaria di una macchina svedese verde, era sempre la zia dell’imprevedibile e talvolta umorale Cat e rimaneva una sostenitrice della Scottish Opera, alla quale si ricordò di dover inviare un assegno.
Era tutto uguale. Ma ora che era la promessa sposa di Jamie, le sembrava che il suo futuro – quella piccola parte di noi in cui, in misura maggiore o minore, viviamo la nostra vita – fosse cambiato radicalmente. Ora il futuro non era più un territorio vago e inesplorato: dopo che Jamie […] si era proposto sullo sgabello del pianoforte, aveva acquisito una forma»

Nonostante l’iniziale scetticismo di Isabel, nato alla luce dalla differenza di età e statuto economico che la divide da Jamie, oltre che dalla sua passata storia con l’incostante nipote Cat, la loro relazione si rafforza, muta. Ed è, per lei abituata alla solitudine, ragione di meraviglia realizzare di aver trovato qualcuno con cui confrontarsi sui temi più disparati. 

«Camminarono in silenzio, contenti di essere insieme, consapevoli entrambi che quel momento, come numerosi altri che avevano vissuto da quando avevano deciso di sposarsi, portava in sé una sensazione noumenica: c’era un mistero, dietro, un senso di sacralità. Da parte sua, Jamie sentiva che stava guardando il mondo con occhi diversi, che ambienti quotidiani e tutt’altro che eccezionali ora sembravano carichi di emozione e di un senso di possibilità. Con gli occhi dell’amore: era così che vedeva di nuovo il mondo».

Ma non fatevi ingannare, L’arte perduta della gratitudine non è un romanzo rosa. I nuovi ruoli di madre e futura sposa non annichiliscono né l’amore per la filosofia, né l’inclinazione all’ investigazione cui McCall Smith ci ha abituati. È del resto proprio una passeggiata familiare con Jamie e Charlie a dare il via al nuovo caso investigativo, cui, controvoglia, Isabel si dedicherà. A chiederle aiuto questa volta è Minty Auchterlonie, un’esperta di finanza con cui già in passato (primo romanzo) aveva avuto dei dissapori, e che la trascinerà in una faccenda molto privata, ma soprattutto molto sporca. Costretta a orientarsi smarrita in una rete di accuse, ricatti e bugie, Isabel scopre ben presto che quella che riteneva la vittima non era che la manipolatrice di un ingegnoso piano, di cui lei è finita per diventare una pedina fondamentale. 

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Come nelle opere precedenti, anche qui il giallo gioca un ruolo marginale, ma necessario all’autore per evidenziare la caratteristica distintiva di questa protagonista, ovvero il suo amore per la disciplina filosofica. Questa non è solo un lavoro, ma un modo con cui guardare e capire il mondo, una serie di principi che regolano il comportamento di Isabel, convincendola per esempio ad aiutare anche coloro cui mai avrebbe sognato di porgere la mano, ma pure ad affermare se stessa con lucidità e determinazione. Dopo aver provato invano ad estrometterla dalla Rivista di etica applicata, l’arrogante Christopher Dove, studioso scaltro e arrivista, tenta ancora una volta di umiliare la neo-direttrice, accusandola di aver lasciato impunito un evidente plagio di cui lui l’avrebbe avvertita. Un attacco, questo, in cui Dove trascina anche l’ormai anziano mentore professor Lattuce, collega poco amato da Isabel, che, in un incontro all’inizio gelido, ne pretende le dimissioni. Con lucidità quest’ultima riesce però a smascherare le macchinazioni dell’allievo. La limpidezza del suo pensiero verrà ricompensata: 

«Lui la guardò con gratitudine. “La ringrazio.”
Isabel chinò il capo. Non si aspettava un ringraziamento; in realtà si aspettava di rado che qualcuno la ringraziasse per qualcosa. La gratitudine era un’arte dimenticata, si disse. La gente accoglieva qualunque cosa considerandola un diritto acquisito, e si era dimenticata come ringraziare in modo adeguato. Con tutti i suoi difetti, il professor Lettuce almeno le aveva detto grazie e lei, a sua volta, gliene era grata». 

L’ultima riga di questa citazione ha dato il titolo ad un romanzo godibile, di conforto, appunto. Capiamoci bene, Alexander McCall Smith non è un autore da Nobel, troppo semplice lo stile, sebbene mai sciatto, troppo lineare per certi gusti la trama; nondimeno alcune caratteristiche di questa serie me la rendono particolarmente cara. La prima è il tentativo di rappresentare una figura femminile originale, complessa, introspettiva, che non cessa di evolvere, di mettersi in discussione, di dubitare. Isabel è una donna di quarant’anni (età poco battuta dal romanzo), che non si lascia ingabbiare né dall’amore né dalla maternità. È benestante, cosa che le permette di acquistare quadri, frequentare i teatri e l’opera, fare viaggi in giro per il mondo: è un’intellettuale a tutto tondo, insomma, ruolo finora più spesso tipico dell’immaginario maschile. Ma soprattutto, e questo è un altro degli aspetti da me apprezzati, Isabel è una filosofa, non di nome, ma di fatto. E ciò non ha solo il merito di permettere ad una protagonista femminile di conquistare un nuovo spazio per se stessa, ma di mostrare al lettore come la filosofia non consista in vane elucubrazioni con cui gli accademici si cullano nell’ozio, ma una disciplina da applicare in ogni aspetto della vita quotidiana. Di ciò Isabel, col suo confrontarsi con i grandi pensatori del passato mentre passeggia per le vie di Edimburgo (vividamente descritte), è l’incarnazione più vivida:

«Certo, non si accoglieva la gentilezza nella propria vita per aver contemplato le idee di Hobbes (l’egoista Hobbes) e Hume (il buon Davey, così generoso), ma erano cose che non guastava conoscere. Ed era lì che la filosofia contava davvero: metteva in luce le scelte di fondo dietro tutte le domande quotidiane sulla carità, la comprensione e la semplice correttezza; era il clima, lo sfondo sul quale si dibattevano le questioni pratiche». 

La serie, come spesso accade, ha degli alti (come questo) e dei bassi (il secondo romanzo, per esempio), ma vi consiglio davvero di recuperarla. Entrerete infatti in un mondo diverso, mai banale, abitato da una protagonista eclettica, che presto diventerà vostra amica…

Per acquistare il romanzo: L’arte perduta della gratitudine: Un caso per Isabel Dalhousie, filosofa e investigatrice

Per leggere alcuni estratti di questo autore: Estratti di Alexander McCall Smith

3 commenti

  1. […] Questa settimana sono uscite due recensioni. Nella prima vi ho parlato del sesto romanzo della serie Il club dei filosofi dilettanti di Alexander McCall Smith, soffermandomi in particolare sulla figura della protagonista; la potete leggere cliccando qui: “L’arte perduta della gratitudine”: curiosità e passioni di una filosofa investigatrice […]

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  2. […] Queste tematiche le abbiamo del resto esplorate anche in testi più vicini a noi: Quello che le recensioni non dicono: «Tre ciotole» di Michela Murgia, «IL RAGAZZO» DI ANNIE ERNAUX, La misoginia stereotipata: “L’animale femmina” di Emanuela Canepa. A questi titoli ne abbiamo affiancati altri della produzione contemporanea: «L’unica persona al mondo con cui mi sia mai sentita al sicuro»: Oh William! di Elizabeth Strout, Tra letteratura e scienza: la raccolta poetica “O corpo sospiroso” di Giuseppe Bonaviri, “L’arte perduta della gratitudine”: curiosità e passioni di una filosofa investigatrice. […]

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