IL DESTINO DI ROBERTO PAZZI (di Vittorio Panicara).

Questo articolo fa parte del progetto GdL «4 righe con la storia». La terza tappa del gruppo di lettura si occuperà proprio di Verso Sant’Elena. Se vuoi unirti al gruppo Telegram clicca qui: https://t.me/+Rnuq9JOOYCgyMzU0


Il destino di Roberto Pazzi, uno dei migliori scrittori italiani viventi, è stato ed è probabilmente quello di riabilitare con la sua opera i “poeti laureati” e di conciliare nei suoi romanzi Fantasia e Storia. Docente liceale e universitario nella sua Ferrara e poi a Urbino, rinviene subito nell’humus culturale delle lettere classiche l’impulso a esprimere la sua vocazione di scrittore. La sua tesi di Estetica su Umberto Saba (1969, con relatori come Anceschi e Barilli) e il suo insegnamento sono lì a testimoniarlo, ma è il suo esordio da poeta con «L’esperienza anteriore» (1973) ad attestare l’attualità di uno scrittore innovativo e “classico” insieme, che nel dialogo con Vittorio Sereni (si veda l’epistolario «Come nasce un poeta», 1965-1982, Minerva 2018) esprime la sua visione della scrittura come scavo nell’animo umano e incursione nel vissuto della persona. Tutto confermato dalle sillogi successive, con «Calma di vento» (premio Librex Montale 1987; tradotto in francese), «La gravità dei corpi» (premiato tre volte e tradotto in tedesco e in turco), fino a «Un giorno senza sera», antologia pubblicata nel 2020 dalla Nave di Teseo, solo per citare i libri di poesie che hanno ricevuto i maggiori riconoscimenti. I temi ricorrenti, come affermato dallo stesso Pazzi in un’intervista di Federico Migliorati, sono il tempo, la memoria, l’amore, l’innamoramento, il presentimento della vecchiaia e della morte, la storia, le presenze del passato, le stagioni e la loro circolarità, le città come Ferrara dove sempre ho vissuto, e i luoghi come Bocca di Magra, in cui ho trascorso le vacanze della mia giovinezza («Come nasce un poeta»).
Se Roberto Pazzi nasce poeta, se la sua ispirazione classica lo guida nella sua creazione di testi poetici, un’attività ormai cinquantennale, se la sua immaginazione non conosce i limiti imposti dai generi letterari, è vero che scrive anche romanzi, e molti,  e che il successo vero e proprio di critica e di pubblico gli è arriso nella narrativa con «Cercando l’imperatore» (Marietti, 1985; premio Campiello e altri, tradotto in dodici lingue), con postfazione di Giovanni Raboni. Che definisce il testo «romanzo-ossessione» e «convenzionale». È un romanzo che permette a Pazzi di dispiegare la sua fantasia riguardo alla famiglia reale zarista imprigionata e poi trucidata a Ekaterinburg (famiglia immortalata in una foto divenuta per lui ossessiva) e che rispetta le convenzioni di genere nel senso più alto. Solo un poeta, afferma Raboni, può darci oggi un buon romanzo. Pazzi assume la realtà storica del 1918 e l’orrore per la strage, dedicandosi non all’artificio stilistico o retorico, ma a quello dell’inventio, del contenuto storico modificato, e perorando una verità morale da cui non può e non vuole deflettere. Spetta ai critici stabilire se «Cercando l’imperatore» sia un romanzo storico, ma non è questo il più importante dei problemi interpretativi.
Sia il primo romanzo che il secondo («La principessa e il drago», 1986, finalista allo Strega, premio Rhegium Julii, premio Piombino), entrambi inclusi nella Britannica, propongono la dialettica tra Storia e Invenzione, e questa direzione verrà seguita (ma con riferimento spesso all’attualità e non a momenti storici) anche dai romanzi successivi, tra i quali «Vangelo di Giuda» (1989, premio Grinzane Cavour), «La stanza sull’acqua» (1991, cui è dedicato l’articolo L’affascinante epifania dell’irreale in «La stanza sull’acqua» di Roberto Pazzi ), «Incerti di viaggio» (1996, premio Selezione Campiello, superpremio Penne-Mosca 1996), «La città volante» (1999, finalista al Premio Strega),  «Conclave» (2001, premio Scanno, premio Comisso, Superpremio Flaiano, premio Stresa, premio Zerilli Marimò della New York University, ecc.), «L’erede» (2002, premio Maria Cristina, tradotto in tedesco), «L’ombra del padre» (2005, tradotto in francese, premio Procida Elsa Morante Isola di Arturo), «Lazzaro» (2017), «Verso Sant’Elena» (2019, premio Porta D’Oriente e candidato allo Strega, cui è dedicata la recensione in tre parti Noterelle su “Verso Sant’Elena” di Roberto Pazzi – Terza parte) e «Hotel Padreterno» (2021, premio Carlo Levi, opzionato per il cinema, cui è dedicato l’articolo “Hotel Padreterno”: il divertissement metafisico di Roberto Pazzi).
È vero, nella produzione più recente Pazzi prende spesso spunto dalla cronaca italiana di questi anni, ma non viene mai meno alle sue visioni epiche, che partono dal reale per approdare al fantastico, all’irreale. Continua a costruire trame solide, in un italiano letterario stilisticamente accurato, elegante e perfino radioso, cornice e sostanza per la sua creatività di romanziere che non dimentica la sua “natura” di poeta. Roberto Pazzi non ci dà lezioni di sociologia, non descrive parabole politiche (nemmeno da giornalista si schiera politicamente), non si rivolge al proprio ombelico: Roberto Pazzi racconta e affabula delle storie che ci toccano, ci intrigano, decollando verso mete scaturite dalla fantasia di un artista classico, un poeta moderno che narra vicende sempre attuali.

Su Giornate di lettura sono uscite anche due interviste con Roberto Pazzi, che potete rileggere qui:


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