ANCORA PROUST, PER APPROFONDIRE (consigli di lettura di Vittorio Panicara: seconda parte).

È questa la seconda puntata di una serie di due articoli dedicati alla saggistica proustiana; potete trovare il primo articolo qui: ANCORA PROUST, PER APPROFONDIRE (consigli di lettura di Vittorio Panicara: prima parte).

📍Si terrà domani una diretta in cui il team di Giornate di lettura dialogherà con Stefano Brugnolo, autore di Dalla parte di Proust, una delle opere di cui si parla in questo contributo. Vi aspettiamo alle 21.00 sul nostro canale Instagram @giornate_di_lettutra


Il centenario della morte di Marcel Proust è ormai un ricordo, ma il desiderio di approfondire una materia complessa come quella della Recherche rimane. A livello saggistico non mancano i contributi adatti e non banali, libri scritti da specialisti che hanno dedicato a Proust buona parte dei loro studi, e i due consigli di lettura del presente articolo fanno seguito a quelli della prima parte – rispettivamente di Alberto Beretta Anguissola e di Francesco Orlando – con Gennaro Oliviero, Il mio Proust, Il ramo e la foglia 2022, e Stefano Brugnolo, Dalla parte di Proust, Carocci 2022.

Gennaro Oliviero, Il mio Proust, Il ramo e la foglia edizioni, 2022.

Gennaro Oliviero, napoletano, docente di discipline giuridiche, si è dedicato da tanti anni a uno studio accurato e appassionato di Proust: ha fondato nel 1998 l’Associazione Amici di Marcel Proust; ha pubblicato il Bollettino d’informazioni proustiane; ha collaborato alla pubblicazione della rivista bilingue Quaderni proustiani, di cui è ancora redattore; ha realizzato la saletta Marcel Proust a Napoli; ha allestito nel 2010 un “museo” proustiano nella galleria Monteoliveto di Napoli; è curatore del giardino di Babuk, sempre a Napoli. Il libro, dal titolo quanto mai adatto, esprime un amore per un’opera che, una volta letta, ha cambiato per sempre la vita di Oliviero, immerso anche lui, come tanti altri lettori, nel convulso intreccio tra biografia e romanzo (dall’introduzione di Lorenza Foschini). Ma Il mio Proust è una raccolta di testi, tra di loro molto diversi, nella quale scopriamo che l’autore è stato anche traduttore e ha svolto varie attività (antologie, recensioni, bollettini d’informazione, elenchi di testi relativi ai Quaderni proustiani, mostre pittoriche e altri eventi). Dei 17 capitoli almeno cinque o sei, in ogni caso, sono importantissimi per lo studioso di Proust.
Il sesto capitolo, dedicato a Proust e le cattedrali, va molto oltre la semplice erudizione. Proust aveva una concezione sentimentale del viaggiare, ma era soprattutto un “costruttore” di cattedrali, nel senso che “cattedrale” lo era innanzitutto la sua stessa opera, come reclamava nei confronti di chi aveva criticato l’assenza di un’architettura testuale nel primo dei sette volumi; è appunto a uno di questi critici che Proust nel 1919 dichiarava che l’ultimo capitolo dell’ultimo volume era stato scritto subito dopo il primo capitolo del primo volume (e ciò che rimaneva in mezzo era stato scritto dopo). In un’altra lettera spiegava che tutto il romanzo era l’applicazione dei principi estetici dichiarati nell’ultima parte, che costituiva una sorta di prefazione. E se nella narrazione è Swann che ispira al Narratore la passione delle cattedrali, è nei libri di Ruskin che Marcel Proust aveva tratto la motivazione per le sue visite itineranti alle cattedrali.
Nel capitolo successivo, il settimo («Frammenti proustiani: vita e opera»), viene discusso il libro di Mario Lavagetto «Quel Marcel! Frammenti della biografia di Proust» (Einaudi 2011). Il tema è quello del fascino che il biografismo ha sempre esercitato sui critici nei confronti di un autore che paradossalmente aveva ripetutamente reclamato l’esigenza di separare nettamente l’opera dalla sua vita. Il dibattito su questo basilare dilemma interpretativo viene analizzato ampiamente, chiamando in causa critici come Debenedetti, Bonfantini e naturalmente lo stesso Lavagetto.
Di utilità immediata per il lettore che ha da poco letto il settimo volume è il capitolo 12, intitolato appunto «Il Tempo ritrovato: un po’ di tempo allo stato puro nell’atmosfera della Grande Guerra». Vengono messi in risalto tutti i grandi temi del «Tempo ritrovato», dalle epifanie di senso della memoria involontaria alla vocazione letteraria del Narratore. La scoperta del motivo del Tempo rivela al lettore la mediazione tra identità e realtà e soprattutto l’idea incombente della morte, alla quale sembrerebbe poter sfuggire l’opera d’arte; e dell’esistenza della morte ha bisogno la stessa arte per svolgere il suo ruolo salvifico e forse “religioso”. Il capitolo include anche il sommario de «Il tempo ritrovato», un’indagine su Proust e la Grande Guerra e un giudizio sul film omonimo di Raoul Ruitz. E in tema di cinema rimane anche il capitolo successivo, «Storia di un film mai realizzato: La Recherche di Visconti», con un esame approfondito dell’opera del regista e dei motivi che fecero fallire il suo progetto.
Nel complesso il libro di Oliviero, così variegato ed eterogeneo, aiuta il lettore esperto a rivedere tematiche interessanti, come il rapporto tra l’autore e le cattedrali, e a porsi il problema della dimensione religiosa dell’arte in Proust. Anche il tema del rapporto tra la cinematografia e la Recherche si arricchisce di spunti nuovi, meritevoli di ulteriore sviluppo.

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Stefano Brugnolo, Dalla parte di Proust, Carocci editore, 2022

Critico letterario, docente di Teoria della letteratura all’università di Pisa, allievo di Francesco Orlando, Stefano Brugnolo si è occupato di letterature moderne e comparate, di romanzo occidentale, di forme narrative e di teoria freudiana del comico, oltre che di Marcel Proust. Il suo «Dalla parte di Proust» (Carocci, 2022) ci offre un caleidoscopio di contributi personali che toccano tanti aspetti del romanzo. Brugnolo si schiera veramente dalla parte di Proust, nel senso di un avvicinamento senza pregiudizi al dettato testuale che accompagni sia il lettore esperto che il neofita curioso di scoprire i segreti della Recherche. Una scelta saggistica, dunque, lontana dai toni professorali del proustiano doc che si rivolge in modo esclusivo ai pochi altri esperti.


Il libro comprende più di 30 saggi brevi divisi in sei sezioni: L’arte della narrativa proustiana; Percezioni, memoria e oblio in Proust; Proust come teorico della letteratura; Proust, la storia, la società, la politica; Su alcuni lettori, critici, maestri ed eredi di Proust; I grandi temi della Recherche: snobismo, gelosia, omosessualità, ebraismo; A mo’ di conclusione: perché la Recherche è Le mille e una notte della modernità.
Mettendo in comune con il lettore un notevole patrimonio di conoscenze e di riflessioni personali, Brugnolo vuole togliere sacralità alla “cattedrale” proustiana, riconoscendo all’opera un originale carattere di apertura e una inattesa capacità di suscitare quella gioia della conoscenza che altri interpreti hanno trascurato. Da qui un invito a cogliere nella Recherche sia la comicità (o almeno l’umorismo nero) che la profondità di analisi, sia la valorizzazione delle esperienze di vita (del Narratore, del lettore, di noi tutti) che la loro demistificazione. A questo riguardo, siamo invitati a immedesimarci con questo processo attraverso un’empatia che Proust favorisce con il suo impressionismo e che assicura il “divertimento” cognitivo di cui si è detto. L’effetto non è solo quello di una lettura partecipata e consapevole, ma di una riflessione che fa strage di illusioni e sa essere universale e attuale, soprattutto quando coglie il vero senso dell’arte. Ed è infatti il duplice compito riconosciuto all’io narrante (da una parte è colui che vive le vicende narrate e dall’altra è colui che le sa interpretare e su cui sa riflettere) il mezzo atto a svelare la necessità del recupero dell’arte in quanto esperienza extratemporale che sa come sconfiggere la stessa idea della morte. Ecco perché Brugnolo parla di un lieto fine a proposito del «Tempo ritrovato», nonostante la macabra matinée dai Guermantes, che ha portato alcuni critici a parlare, invece, di un nichilismo irriducibile e alla fine vittorioso. E quell’arte che si palesa nelle estasi metacroniche non è l’apologia dell’arte per l’arte, ma il sogno di conferire all’arte un valore sostanzialmente religioso, capace di riempire il vuoto ideologico creatosi con la cosiddetta morte di Dio.
Nonostante il taglio divulgativo del testo, Brugnolo, da esperto qual è, dialoga con quei critici, come Gide, Genette, Curtius e Orlando, che lo hanno ispirato, e polemizza tra le righe con coloro che hanno proposto di Proust una critica biografista o ideologica (magari in nome dell’odierno politicamente corretto). Dunque, un apporto critico rivolto anche a coloro che conoscono la lunga storia della critica proustiana e che la Recherche la conoscono bene. Con risultati lusinghieri, se pensiamo ai numerosi spunti critici interpretativi: discutendo i concetti di memoria e oblio, Brugnolo rinviene nella Recherche un invito a vivere la vita qui e ora, tornando alla vera conoscenza della realtà e superando la condizione di contemporaneità che ci rende ciechi rispetto al presente; le parti saggistiche del Narratore onnisciente ci propongono continue meditazioni di grande portata, capaci di darci un vero e proprio godimento speculativo, eppure, secondo Brugnolo, nell’opera il vedere, il percepire, il sentire, prevalgono sul sapere e ci mettono in guardia dalle pretese fuorvianti dell’intelligenza; la lettura della Recherche induce una specie di “incoscienza” temporale fatta di gratuità e abbandono, che realizza l’ideale del libro che si legge per il puro piacere di farlo, e lo fa utilizzando il metodo della frase prolungata ad arte e quindi il meccanismo del tempo perduto e ritrovato a livello microtestuale; più che il metodo mitico, è il metodo analogico-metaforico (con la metafora impiegata come mezzo di conoscenza) a dare un senso a quelle vicissitudini della vita comune che ci paiono futili e accidentali e che tali, come ci mostra Proust, non sono; la scoperta dell’inconscio e della vera natura dei sogni, che arriva alle stesse conclusioni di Freud, porta a considerare uguali tra loro i modelli formali che presiedono rispettivamente alla formazione del sogno e al lavoro del romanziere; la critica approfondita della vanità sociale e mondana, cioè dello snobismo delle classi alte e di quelle basse, che dà luogo a fenomeni di esclusione e di persecuzione, rientra in un tipo di realismo molto particolare, che dopo Proust non è stato proseguito; l’influsso (e in qualche modo anche il ripudio) delle Mille e una notte, vero modello della Recherche, con le sue trasfigurazioni fiabesche, si può riconoscere nella riscoperta continua dell’ignoto nel noto, allo scopo di rendere straordinario l’ordinario senza ricorrere al fantastico.
Quelle qui riassunte velocemente sono solo alcune delle molteplici indicazioni con cui Brugnolo propone nuovi percorsi critici, con spunti di riflessione che lasciano da parte le vecchie questioni per delinearne di nuove e più feconde. I continui rinvii testuali, con citazioni sempre pertinenti, danno consistenza alle considerazioni dell’autore, che in questa miriade di motivi, temi e nuove certezze ci invita a rinvenire il filo rosso dell’opera narrativa più alta e complessa del Novecento. Il cammino, dunque, è ancora lungo.

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