
Forse di ciò che di segreto rimane in noi indecifrabile (Quel nulla / Di inesauribile segreto, da «Il porto sepolto») alla fine di un percorso poetico lungo e vario, che dalla Grande Guerra approda agli anni Sessanta, qualcosa resta, non è affatto un nulla, e traluce dalle fessure aperte dall’esistenza e dall’esperienza degli uomini immersi nel tempo. Forse questo qualcosa nella sua essenza rimane tuttora insondabile, ma ha concesso al poeta rari barlumi, risultato di un incessante scavo interiore e di un vissuto guidato dall’esempio dei classici, dal valore della memoria e della dignità, dalla consapevolezza che la vita è un dramma e la Storia tragedia. A questo punto il «segreto del poeta» non è più tale. Parliamo ovviamente di Giuseppe Ungaretti.
La leggenda del porto sommerso di Alessandria d’Egitto, sua città natale, sussiste tuttora, ma a poco a poco dal deserto egiziano e da quel porto sepolto è emerso un diario di vita – così Ungaretti considerava «L’allegria»: una bella biografia (dalla prefazione del 1931) – ricco di esperienze da “naufrago” scampato alla guerra e di meditazioni sui grandi temi della vita e della morte, dell’amore e della trascendenza. Sono i fiumi che hanno attraversato i suoi ricordi personali, è l’immenso che erompe luminoso. Certo, della vita rimangono frantumi, espressi nelle sue prime poesie con una poesia pura e con la “disintegrazione” del metro e della sintassi tradizionali, mediante una parola evocativa e una metrica nuova, scarna, secca, versicoli, al massimo frantumati (Leone Piccioni), che però il lettore potrà ricomporre in una nuova unità.
E l’edizione definitiva de «L’allegria» si apre con il concetto metafisico dell’inesprimibile nulla, poi ripreso nelle opere successive, da «Sentimento del tempo» a «Il Taccuino del vecchio»:
ETERNO
tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla.
Nella versificazione parole nude e simboli sono il segno di una rivoluzione, quella del linguaggio, che esprime degli uomini un bisogno fondamentale, di tipo religioso: è ciò che affiora nella seconda metà della produzione poetica ungarettiana, da «Sentimento del tempo» in poi, quando il poeta ricorre al recupero delle forme e dei versi della tradizione. Se lutti privati e collettivi, come il secondo conflitto mondiale, ci mostrano il senso del dolore e la barbarie degli uomini (nel 1947 esce la raccolta «Dolore»), la poesia si fa comprensione e pietà, in un tempo muto e nell’inutile e feroce infinito dei ricordi. Nel 1950 «La Terra Promessa» e dieci anni dopo «Il Taccuino del vecchio» confermano la maturazione di un sentire poetico ancora mutevole, ancora diverso e vivo, volto alla brama di Dio. E la letteratura offre l’ancora di salvezza tra i marosi dell’esistenza, con l’amato Leopardi, e con Dante, Baudelaire, Mallarmé, nonché le traduzioni dei classici, da Shakespeare, a Blake, all’Eneide, a Racine, Gongora e Mallarmé. Un ruolo simile, ma di esegesi di sé e di consapevolezza poetica, svolsero le sue quattro lezioni, tenute nel 1964 alla Columbia University di New York, sulla sua Canzone. Che così si conclude:
E se, tuttora fuoco d’avventura,
Tornati gli attimi da angoscia a brama,
D’Itaca varco le fuggenti mura,
So, ultima metamorfosi all’aurora,
Oramai so che il filo della trama
Umana, pare rompersi in quell’ora.
Nulla più nuovo parve della strada
Dove lo spazio mai non si degrada
Per la luce o per tenebra, o altro tempo.
Il porto dissepolto, vale a dire il tanto che resta della sua opera, testimonia così la ricerca mai vana di una “terra promessa” e il canto di uno degli interpreti più nudi e indifesi della desolazione dell’uomo moderno.
Nato nel 1888 ad Alessandria d’Egitto, dopo una vita da intellettuale europeo e da poeta coronato da successo, Giuseppe Ungaretti morì a Milano il primo giugno 1970.
Lasciamo a lui l’ultima parola:
Non so che poeta io sia stato in tutti questi anni. Ma so di essere stato un uomo: perché ho molto amato, ho molto sofferto, ho anche errato cercando poi di riparare il mio errore, come potevo, e non ho odiato mai. Proprio quello che un uomo deve fare: amare molto, anche errare, molto soffrire, e non odiare mai (Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, 1992).
FONTI, VITA E OPERE
https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-ungaretti
https://www.rsi.ch/cultura/focus/Diario-di-un-uomo-14990841.html
https://www.italialibri.net/opere/portosepolto.html
https://library.weschool.com/lezione/giuseppe-ungaretti-allegria-di-naufragi-stile-2794.html

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