Premio strega: decalogo del perfetto scrittore

Nel mio articolo di marzo sul Premio Strega (AMLETO AL PREMIO STREGA: il dilemma dell’esserci o non esserci) avevo riportato alcune statistiche e modalità per mostrare, dati alla mano, che, salvo pochissime eccezioni, i giochi si fanno soprattutto tra le grandi case editrici. Al punto che nemmeno il più sprovveduto lettore dubita che le cose siano “affari di famiglia”, visto che non c’è anno che non siano rispettati i pronostici e non si ripetano i lai sulle sue quotazioni in picchiata

Resta però il fatto che anche per gli schizzinosi il premio italiano più “prestigioso” scatena una curiosa ridda di contraddizioni, per cui, come per Sanremo, anche quelli che lo criticano lo seguono. E certamente per uno scrittore, se già essere candidato (e quest’anno erano un’ottantina!) è una botta di autostima, entrare nella dozzina significa essere preso sul serio, entrare nella cinquina lo fa sentire un evangelista, e vincere equivale alla consacrazione. E anche se nessuno ammetterebbe di aver scritto un libraccio, molti sono invece coloro che si credono arrivati solo per essere approdati a una grande casa editrice. Come spiegare allora che quasi nessuno dei libri premiati in quest’ultimo ventennio circola ancora, e presumibilmente nessuno finirà nelle storie letterarie, se ce ne saranno ancora? Non è questa la conferma che per sfidare il tempo non basta incassare un premio un giorno glorioso, ma che poi si squalificato da sé in questa corsa al ribasso? Di chi sarà la colpa? 

Senza dubbio essa cade soprattutto su quegli editori che, se col sistema di scambio e col battage che si possono permettere hanno immenso potere persuasivo, sembrano invece costituzionalmente allergici alle opere di qualità. E sarà pur vero che l’editoria è commercio e che guarda a mercato, e bla bla… Eppure tutti sanno che esiste anche un pubblico, benché meno numeroso, avido di buona letteratura e disgustato dalla kermesse. Solo che gli editori, sempre persuasi che la gente voglia soprattutto spazzatura, piuttosto che gettare perle ai porci preferiscono servire il pastone anche ai palati più fini. So bene che non è affatto semplice stabilire criteri, anche se resto dell’opinione che esistano lettori più esigenti, che poi sono quelli che di preferenza si buttano sui classici per non accontentarsi della brodaglia riscaldata. Il fatto è che, come per essere poeti non basta andare a capo, per scrivere un romanzo non basta avere una storia mainstream, come facilmente si può arguire lanciando uno sguardo ai romanzi che intasano le librerie, con le loro diverse formule di scemenze consolidate:

  • Scrittura stilisticamente piatta e incolore, contenutisticamente semplice, con basso profilo tematico, altrimenti il lettore non capisce…
  • Sintassi rigorosamente paratattica, con divieto dell’ipotassi, che potrebbe scoraggiare il supposto minimo spessore cerebrale dell’acquirente. 
  • Uso preferenziale della prima persona, che meglio permette il titillamento di ombelichi e vicinanze… 
  • Storie (micro) lineari, non senza un tocco di inquietante mistero… 
  • Materia crepuscolarmente fatta di piccole cose (di pessimo gusto). 
  • Buonismo consolatorio, che fa sentire migliore il cliente.
  • Coktail patetico di Dickens e Carolina Invernizio (di cui ci eravamo occupati qui: Carolina Invernizio: “l’onesta gallina della letteratura popolare”).
  • Terminologia vagamente psicanalitica, che spruzza complessità sui personaggi. 
  • Regesti di tumori, morbi terminali, degenze disumane, morti miserabili. 
  • Memorie della nonna e diari del bisnonno, tanto più se hanno attinenza con un disastro del Novecento. 
  • Diari di orfanelle, mogli tradite o figlie seviziate.
  • Cartella clinica di una maniaco-depressiva. 
  • Bimbi e bimbe vittime innocenti di guerre assurde (i bambini sono una vera manna, le cui disgrazie inteneriscono i cuori). 
  • Emotività poetichese da quindicenne ribelle, che si pone domande sulla vita con la lacrima sul ciglio.  
  • Realizzazione di sé (se donna) come riscatto a secoli di dominazione maschile. 
  • Femminicidio e stupro, perché sono catartici e apotropaici. 
  • Voce offerte a minoranze e gay (anche da parti di chi in privato continua a chiamarli fr**i).
  • Sesso a gogò e turpiloquio da evasi, perché la trasgressione fa figo anche per i centenari. 
  • Biografia agiografica di una donna del passato (artista, serva, cortigiana, scienziata) la cui lotta sia esempio di perseveranza e riscatto.

Ora, se di certo è un bene che la repubblica dei lettori sia aumentata, e se è un diritto sacrosanto leggere ciò che si vuole, sorprende tanta preferenza verso trame scontate e commoventi, e che la voluttà di soffrire del dolore degli altri sia tanto terapeutica. Al punto che si definisce bellissima una storia solo perché strappalacrime, senza quasi mai scomodare un criterio estetico. 

Ma quale, del resto? Che cos’è questa famigerata qualità? Chi la stabilisce? Senza tirare in ballo opere colossali, mi permetterò appena un raffronto con alcuni Strega del secolo scorso, quando difficilmente lo incassava un’opera senza alcuna dignità letteraria. Erano i tempi che premiavano gente come Pavese, Bassani, Buzzati, Tomasi di Lampedusa (di cui ci eravamo occupati qui: UN GATTOPARDO PER DUE CAPOLAVORI, DA TOMASI DI LAMPEDUSA A VISCONTI), Landolfi, Levi, Bufalino (di cui avevo parlato qui: UNA SERATA CON GESUALDO BUFALINO)! Ora chissà se c’è qualcuno che regga al confronto quest’anno, tra le quattro donne che se lo contendono insieme al poverello smarrito! Tra meno di un mese lo sapremo (e intanto, come da buona tradizione, si dà per certa la vittoria di Rosella Postorino). Per intanto possiamo già vedere rispettate le previsioni, almeno per quanto riguarda lo spettro che da un anno si aggirava tra le patrie lettere, e che essendo già stato escluso dalla cinquina non rischia una vittoria che avrebbe sparigliato le carte e riqualificato il premio. Sto parlando di Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi: uno sconosciuto pubblicato da una piccola casa editrice, e che forse per un quarto d’ora ha avuto e dato l’illusione di potercela fare. Ed è proprio di questo libro anomalo che intendo occuparmi nel prossimo articolo… 

3 commenti

  1. […] Martedì è uscito un articolo di Gerardo Passannante dedicato al Premio Strega, di cui si era già occupato in AMLETO AL PREMIO STREGA: il dilemma dell’esserci o non esserci. In seguito alla pubblicazione della cinquina di opere che concorreranno per il primo posto, il pezzo si sofferma, non senza ironia, sulle caratteristiche che uno scrittore deve avere per entrare in questo gruppo di “eletti”. Se volete potete recuperare il contributo qui: Premio strega: decalogo del perfetto scrittore […]

    "Mi piace"

Lascia un commento