
Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”: è forse la citazione più nota dell’autore italiano più studiato al mondo dopo Dante, Luigi Pirandello. In lui il disordine universale della materia, il caos, non è la preparazione del cosmo, ma la realtà che lo attornia e da cui il suo sguardo sul mondo non può prescindere. E il suo è un involontario soggiorno sulla terra…
Sono queste le premesse del pensatore Pirandello, ma anche dello scrittore e dell’uomo di teatro, che indaga la crisi dell’uomo contemporaneo, privo della capacità di identificarsi con la propria personalità, nel dramma della ricerca di una verità lontana dalle apparenze e dalle convenzioni. All’angoscia di una visione così relativistica oppone una via di fuga ardua, quella dell’umorismo e dell’ironia (e dunque del paradosso), sulla scorta del pensiero di Léon A. Dumont e dello stesso Bergson. La proposta pirandelliana si contrappone al comico, semplice avvertimento del contrario, ed è il sentimento del contrario, che nasce in un contesto riflessivo e ha un valore di reazione mediata dalla ragione («L’umorismo», 1908). Si tratta di una prima reazione a quella negazione di ogni certezza che minaccia l’uomo moderno in crisi di identità, un uomo ridotto a un Fu Mattia Pascal indifeso, vicino alla resa. Una reazione più attiva arriva non tanto con le sue poesie intrise di pessimismo, quanto, abbandonato l’iniziale verismo, con la prosa del narratore e soprattutto con la drammaturgia e la regia teatrale, che mostrano ricchezza d’invenzione e felicità di resa artistica. E soprattutto superando la drammatica dicotomia tra il flusso della vita (il “volto” dell’uomo) e la forma dell’arte, della cultura e della civilizzazione (la “maschera”).
Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) condusse una vita ritirata, caratterizzata da una solitudine estrema, nonostante la sua fama, il successo di critica e il Premio Nobel per la letteratura del 1934. Il premio compensò solo in parte il suo isolamento, del resto voluto. Sapeva di essere il “forestiere dalla vita” che “ha capito il giuoco”, perché ha preso coscienza del carattere artificioso dei rapporti umani e della società, e perché gli piace veder vivere se stesso e gli altri dall’alto di un sapere superiore. A questa autoesclusione, che è il prezzo da pagare al rifiuto di preconcetti e pregiudizi, corrisponde la frattura tra l’ideale e il reale, vale a dire fra le promesse del cosiddetto “progresso” e una vita quotidiana miserabile. In questo contesto si situano la disillusione per il mancato “risorgimento” d’Italia, il problematico matrimonio con Maria Antonietta Portulano (internata nel 1919 in una clinica per malattie mentali), la coscienza delle effimere lusinghe della provvisoria agiatezza economica, dell’amore e delle proposte di rinnovamento politico in senso progressista (la sua adesione al fascismo, nel 1924, fece molto scalpore).
Ma è l’intensa attività teatrale, tanto discussa in Italia e all’estero, a esprimere quella reazione attiva al nichilismo e al relativismo morale ancora imperfetta nel teorico dell’umorismo e dello scetticismo verso ogni sistema filosofico (I filosofi hanno il torto di non pensare alle bestie e davanti agli occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico, in Saggi poesie, scritti varii, Mondadori, Milano 1960). La sua produzione teatrale fiorisce già durante la Grande Guerra, con opere come Pensaci Giacomino!, Liolà, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell’onestà, Ma non è una cosa seria e Il gioco delle parti (1918). Poco dopo arriverà la fama con i Sei personaggi in cerca d’autore (1921) e il successo internazionale degli anni Venti. Nel 1922 escono il primo volume della raccolta Novelle per un anno, l’Enrico IV e Vestire gli ignudi. Seguono L’uomo dal fiore in bocca (1923), Ciascuno a suo modo (1924), Questa sera si recita a soggetto (1930). L’ultimo romanzo, Uno, nessuno e centomila, è del 1926. Nell’attività della compagnia del Teatro d’Arte di Roma Pirandello trova la sua realizzazione più piena, preludio dell’ultima stagione pirandelliana, fondata sui «miti» moderni e culminante nell’opera incompiuta I giganti della montagna. A questo proposito, Marta Abba, sua musa ispiratrice, testimonia nel suo «L’uomo segreto» quanto quest’opera non conclusa fosse un’allegoria chiarissima della idea centrale che lo tormentava lungo gli anni Trenta: il mondo rimbarbarito diventava sempre più incapace di comprendere i veri Valori dell’Arte, ed era diretto a cancellarla. La rozzezza spirituale degli uomini favoriva l’uso strumentale dell’arte, e ciò minacciava i valori essenziali della civiltà europea, così importanti per i dominii spirituali dell’uomo moderno. Difficile sostenere dopo quasi novanta anni che Luigi Pirandello non vedesse giusto.
LINK CONSIGLIATI
https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-pirandello/
http://www.studiodiluigipirandello.it/portfolio/pirandello-e-il-fascismo/
https://www.italialibri.net/autori/pirandellol.html
https://www.viv-it.org/schede/l%E2%80%99italiano-teatrale-di-pirandello

[…] Per la nostra rubrica I profili Vittorio Panicara ha pubblicato un articolo dedicato a Luigi Pirandello, autore italiano Premio Nobel per la letteratura nel 1934, in occasione dell’anniversario della sua nascita: 28 giugno 1867. Potete recuperalo qui: LUIGI PIRANDELLO: L’UMORISTICO «CANTORE» DEL CAOS (di Vittorio Panicara). […]
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