«Donne e follia in Piemonte» di Bruna Bertolo

Bruna Bertolo è una scrittrice, giornalista e studiosa di argomenti storici dell’800 e del 900. Dal 2011 la sua ricerca si concentra sulla storia delle donne, con la pubblicazione di diversi titoli, tra cui Donne e follia in Piemonte, risultato di un approfondito lavoro di ricerca negli archivi degli ex manicomi piemontesi che ci restituisce un panorama fatto di storie, luoghi, documenti, immagini e soprattutto persone. Il tema è la condizione delle donne negli ospedali psichiatrici.

La scrittrice analizza un lungo periodo che va dall’inizio dell’800 fino al 1978, anno dell’entrata in vigore della legge 180, più comunemente conosciuta come Legge Basaglia, simbolo della chiusura dei manicomi in Italia. Si parla di simbolo perché è noto che il problema, purtroppo, sia stato risolto soltanto in parte e lo stesso Basaglia prevedeva un’applicazione ben diversa dalla legge che porta il suo nome. Ma l’attenzione della scrittrice si concentra principalmente su alcuni periodi particolari, come la fine dell’ 800, il periodo della Grande Guerra, il fascismo, la seconda guerra mondiale e gli anni 60.

La storia delle vite femminili rinchiuse nei manicomi del Piemonte è la storia struggente del tessuto sociale e psicologico in cui queste donne venivano inquadrate e dei loro diritti negati almeno fino alla metà del Novecento.

Bisogna tener ben presente che per una donna di quel periodo non era certo difficile finire in manicomio, dato che le motivazioni portanti spesso nulla avevano a che vedere con la malattia mentale. Infatti, la scrittrice sottolinea come queste donne siano state ritenute pazze anche solo per aver osato fare sentire la loro voce. Erano donne che qualche volta si sono ribellate alle umiliazione subite in famiglia o hanno urlato la loro reazione alle percosse del marito violento o si sono opposte alle continue gravidanze oppure ancora sono state considerate “leggere” e mandate alla casa del “Buon Pastore” per poi finire al manicomio. Insomma donne molto scomode che mal si conformavano al “buon costume” del tempo.

La Legge Giolitti/Bianchi del 1904, infatti, stabiliva che dovevano essere custodite e curate tutte le persone affette da qualunque caso di alienazione mentale, ritenute  pericolose per sé e per gli altri e considerate di pubblico scandalo. E riuscire di “pubblico scandalo” per una donna di fine 800 e primi decenni del 900 non era certo difficile: molte di loro finivano in manicomio per problemi che nulla, o ben poco, avevano a che fare con la malattia mentale.  Insomma, a ben vedere, questa legge diviene un modo per mettere ordine nella società del tempo, che chiude in manicomio le donne e tutti quelli ritenuti di disturbo alla società, come ubriachi, mendicanti, bambini con handicap, donne che soffrono di malattie e che sono povere. Il manicomio, pertanto, diventa il posto dove viene ricoverata la povertà. Un esempio sono i numerosi casi di pellagrose. La pellagra è una malattia causata dalla carenza o dal mancato assorbimento di alcuni tipi di vitamine; colpiva in modo particolare le donne soprattutto del nord Italia che avevano un’alimentazione molto scarsa, basata soprattutto sul consumo di polenta, e, dunque, questo generava una gravissima insufficienza di vitamine, che provocava, oltre a dermatiti e problemi intestinali, anche la demenza. Il fatto che venissero colpite da questo deficit soprattutto le donne ha una ragione, se si vuol chiamare così, sociale. Perché se in una famiglia il cibo scarseggiava, se il marito padrone doveva lavorare e aveva bisogno di nutrirsi tanto e se c’erano bambini, allora le donne rinunciavano ad una parte del loro cibo per darlo a loro. Dunque, molte di loro affette da pellagra finivano in manicomio pur non avendo nessun problema psichiatrico. Stessa sorte capitava alle epilettiche.

Disegno di Lucia Saltarin, rappresentante uno dei soggetti a lei più cari, ossia la Madonna.

Infatti, all´inizio degli anni sessanta del Novecento, nel manicomio di Torino, che era nato in origine per accogliere seicento donne e che invece era arrivato ad ospitarne novecento, c’era ancora un reparto per le epilettiche croniche, che erano completamente estranee alla realtà manicomiale.

Altre donne che pativano il medesimo destino erano le vittime di deliri di derivazione sociale e familiare. In certi periodi, soprattutto nel fascismo, molte donne che esprimevano un dissenso o che non erano in linea con il dettame del regime, finivano in manicomio, rifugio anche di prostitute e dissidenti. Spesso lo stare in manicomio causava tutta una serie di problemi che portavano a vere e proprie problematiche di natura psichica, curate principalmente con l’elettroshock. In parole povere, se in manicomio ci si finiva sano di mente, allora folle ci si diventava davvero.

Questa realtà agghiacciante riguardava anche i bambini, trovati legati al termosifone, nudi o contenuti nel letto. Insomma, si trattava di veri e propri gironi infernali.

La legge Basaglia entra a poco a poco nelle strutture però, in realtà, a Torino un anno prima della sua entrata in vigore, viene buttato giù il muro che separa l’interno dall’esterno del manicomio. Per la prima volta le pazienti si affacciano al di là del muro. La caduta del muro ha segnato la fine di un’epoca. Sono le macerie di un’epoca su cui bisognava ricostruire le basi di un altro modo di pensare alla salute mentale e ai luoghi in cui potersene prendere cura.

Il libro, inoltre, è corredato di molteplici esempi e racconti, scoperti spulciando gli archivi dei manicomi piemontesi, alla ricerca di lettere ricevute, lettere mai spedite, diari, cartelle cliniche, atti amministrativi e appunti di medici. Incontriamo, dunque, storie e persone ridotte a fantasmi di loro stesse, ma scopriamo anche i luoghi in cui veniva vissuto questo dolore in Piemonte: Collegno, via Giulio a Torino, Savonera, Racconigi, Grugliasco. Questi sono i manicomi che dall’inizio dell’800 al 1978 sono stati teatro di un profondo dolore, nella maggior parte dei casi provocandolo più che risolverlo.  Il racconto resta impresso nella memoria del lettore, potenziato com’è da una serie di fotografie e documenti spesso drammatici. Le fotografie, però, non sono mai lesive della dignitàpersonale delle donne che hanno conosciuto la vita manicomiale.

Ci imbattiamo nei noti strumenti di tortura, come gabbie, collari, museruole ed elettroshock,  ma anche in figure positive che hanno cercato di cambiare la storia, come i medici Giuseppe Luciano e Annibale Crosignani. Il loro ruolo è stato determinante verso la via del cambiamento. Piccoli passi per grandi lotte. Apparentemente piccole cose ma di grande impatto emozionale per quelle donne vestite con la divisa ospedaliera a righe bianche e nere che rappresentava la loro appartenenza al manicomio. Infatti, proprio uno dei cambiamenti proposti dal dottor Luciano è stato quello di poter indossare abiti propri, al posto delle suddette divise. Altre novità riguardano l’uso, durante i pasti, oltre che del previsto cucchiaio di alluminio, anche del coltello e della forchetta di plastica; l’acquisto di un televisore e la possibilità di usufruire di un telefono a gettoni per fare chiamate ai propri familiari. Sembrano cose da poco ma, al contrario, sono diritti non scontati in una realtà come quella dei manicomi.

E Bruna Bertolo tratteggia i momenti essenziali che attraverso il lavoro dei due psichiatri, hanno portato alla nascita della comunità terapeutica del Reparto 5, primo colpo inferto al sistema dominante. Nel 1969 tale reparto è diventato il Reparto della Libertà: un progetto per una psichiatria più rispettosa della persona, più responsabile, più democratica, una nuova esperienza di cura. Sicuramente è stato un percorso molto difficile dai risvolti spesso dolorosi. Ma il manicomio così come era stato fino ad allora concepito non poteva più avere diritto di cittadinanza.

In ognuna delle cartelle cliniche analizzate c´è un racconto, un’esistenza, qualche volta una speranza. Spesso però la porta della speranza, chiamata guarigione e ritorno in famiglia, non si apriva più. Ecco la cruda realtà: spesso le pazienti non sono mai state visitate, le famiglie smettono di chiedere notizie, i mariti non le vogliono di nuovo a casa perché sostituite da un’altra donna.

La legge Basaglia del 1978 è stata preceduta da almeno un decennio di grande fermento, di lotte contro il sistema manicomiale, per certi versi simile a quello carcerario che, nel torinese, si è legataalle iniziative e al coraggio di chi si è messo in gioco in prima persona per scardinare un sistema che continuava a segregare più che a curare e a pensare ad un reinserimento nella società. È la nascita di un movimento che spinge ad un cambiamento profondo. Anche i giornali “La Stampa”, “La Gazzetta del Popolo”, “L´Unità”, con le loro denunce, hanno contribuito in modo significativo ad una nuova presa di coscienza. Il Professor Pier Maria Furlan, autore, tra l’altro dell’ultimo capitolo del libro, primo direttore universitario di un Dipartimento di Salute Mentale e patologia delle dipendenze e ordinario di Psichiatria  all´Università di Torino, ha sottolineato spesso quanto la chiusura dei manicomi sia stata resa possibile da una tensione ideologica e culturale indotta e sostenuta da gruppi di intellettuali capaci di denunciare quanto avveniva all’interno di quelle celle infernali.

La scrittrice, nella parte finale del suo lavoro, ha voluto dare particolare risalto alla storia di Lucia Saltarin, la poetessa di Collegno, unico nome di battesimo vero, insieme a quello di Ida Peruzzi Salgari, moglie dello scrittore Salgari, a non essere celato per ragioni facilmente comprensibili.  Uno spirito diverso, un animo sensibile e poetico, una passione per i versi e per i colori e un grande disagio nell’affrontare la vita.  I suoi problemi psichici sono alternati a momenti di tranquillità. Lucia Saltarin proveniva da una famiglia molto religiosa che aveva l’aspettativa, ingiusta e mortificante, che lei diventasse suora e che avesse un certo modo di comportarsi. Ma Lucia era molto diversa rispetto alle attese degli altri. Infatti, si è rifiutata di prendere i voti, innescando quel disagio e quel delirio che l’hanno portata a lanciarsi nel vuoto. L’amore pulsa in lei e in lei nasce questo doppio sentimento di sentirsi contemporaneamente il diavolo e la Madonna. Dunque, quando si sente la Madonna vuole punire il diavolo che c’è in lei e lo fa nel modo più estremo, ossia tentando più volte il suicidio. Nei periodi di serenità, però, lei vive bene, ama la natura e scrive versi molto belli. Lo scrittore giornalista, Guido Ceronetti nel 1991 scelse una delle sue poesie, intitolata Madonna d´Egitto e la mise nella prima pagina de La Stampa, all´interno della rubrica che gestiva, chiamata “Oggi”.

Madonna d’Egitto

Ma che Madonna d’Egitto?!
Quando cantavo,
dov’eri tu? Lontano.
Quando ridevo scherzavo,
dov’eri tu? Lontano.
E quando credevo in te
dov’eri?
Non so dov’eri,
ma quand’è che
non ingannerai più la gente
prendendola nella tua rete
e scartando i pesci nel mare?
Ho abbandonato tutto
per seguire un ideale
e poi mi trovo legata
e con le mosche addosso.
Dov’eri tu? Non so.
Si sa solo
che hai sofferto in amore.
Ma è questo che scotta per me…
Volete voi la croce?
Neanch’io.
Volete un Cristo trionfante
che viene dall’altro mondo?
Sì.
E allora
che Madonna d’Egitto sono io?
Sono un pagliaccio di stracci
e se volete un taschino per il cuore
in questo vestito stanco e ubriaco,
in questo mondo affamato
con questi uccelletti
che non mi fanno più impazzire
col loro canto…
arrivederci Lucia.

Le storie di Lucia Saltarin e di tutte le donne in cui ci imbattiamo nel libro, sono storie vere, reali, non frutto di invenzione letteraria e altrettanto reale è stata la loro sofferenza per essere impotenti e ridotte a ombra per tutta la loro vita. Facendo ciò,

Bruna Bertolo ha ridato voce a a chi non ne ha avuta e ha dato a queste donne un briciolo di dignità negata all’interno di quelle celle di tormentata esistenza.

4 commenti

  1. Il folle è spesso quello che, semplicemente, sposta l’orizzonte oltre al campo visivo. L’uso dei manicomi come strumento di coercizione sociale è ancora troppo poco indagata, eppure, anche nel nostro paese, se ne è fatto largo uso. Grazie, dunque, per la segnalazione di questo libro.

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  2. […] La recensione uscita martedì riguarda il rispetto verso coloro che soffrono di un disagio della mente, presentando un libro che parla della condizione della donna nei manicomi piemontesi tra fine 800 e la metà del 900. Si tratta, è evidente, di un tema scottante ma raramente discusso: l’articolo vuole contribuire a squarciare il pesante e oltraggioso manto dell’ indifferenza e dell’inconsapevolezza. Lo potete recuperare qui: «Donne e follia in Piemonte» di Bruna Bertolo […]

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