Che cosa intendiamo oggi per “attivismo”? Chi è l’attivista? Come è cambiata questa figura con l’avvento del mondo dei social? Cosa lo distingue dagli influencer? Queste sono alcune delle questioni affrontate in Noi c’eravamo: il senso di fare attivismo di Irene Facheris (Rizzoli). Partendo da un sondaggio diffuso in rete, Facheris, attivista femminista e formatrice esperta in studi di genere, riflette sulle caratteristiche dell’attivismo contemporaneo, ma anche sulle luci e le ombre che ne caratterizzano la comunità.
Il saggio è scritto in uno stile diretto e scorrevole; la trattazione è divisa in due parti: la prima è dedicata al concetto di attivismo e alla figura dell’attivista; la seconda ripercorre invece le luci e le ombre della comunità. L’attivista è chi, presa coscienza di una disparità, di un’iniquità che interessa un gruppo sociale (di cui non per forza fa parte), si muove per poter dare il proprio contributo e favorire una ridistribuzione del potere. A differenza dell’influencer, che tiene per ragioni di guadagno economico a lavorare sulla propria immagine brandizzandola, l’attivista si muove per ragioni altruistiche: il miglioramento che persegue non sempre lo riguarda direttamente. Inoltre, il suo scopo è di essere ascoltato non per chi è ma per i contenuti che veicola. Fa in altre parole parte di un coro, in cui la propria individualità è chiamata a fondersi. Il soggetto attivista non è un io ma sempre e comunque un noi, con tutte le difficoltà di coesione comune che ciò comporta e di cui si discute nel testo.
Ma cosa si intende per “attivismo”? La definizione cui ci hanno abituatə ci riporta con la mente a piazze gremite, rivolte, cortei. Ma è un’immagine, datata, che non tiene conto dell’impatto che i social media hanno avuto nel mondo della comunicazione. È, si legge nel saggio, anacronistico e discriminatorio considerare come meno utile o “vero” l’attivismo portato avanti online:
“Perché affannarsi a dire che il vero attivismo è quello che si fa in piazza, facendo quindi sentire in colpa e inadeguate le persone che per varie ragioni non possono esserci? Abbiamo detto che l’attivismo è un noi nell’obiettivo che si raggiunge attraverso un noi nel processo, e per questo è bene ricordare che in questo periodo storico la dimensione collettiva è possibile anche nelle piazze virtuali. […] Lo abbiamo visto accadere negli ultimi anni con le più grandi proteste mondiali: abbiamo saputo di questi temi grazie ai social, abbiamo scoperchiato temi che venivano silenziati dall’informazione ufficiale, abbiamo usato la piazza virtuale per accrescere la nostra comprensione dei fenomeni, organizzarci e agire in diversi modi”.
Insomma, la dimensione dell’attivismo è concepita da Facheris, intelligentemente, come accogliente, comprensiva di diverse istanze e possibilità, e quindi inclusiva di individui e idee diverse.
Eppure, non per tutti è così. Nella sezione dedicata alle ombre dell’attivismo, l’autrice descrive efficacemente il fenomeno del gatekeeping, ovvero della tendenza dei membri più navigati della comunità ad escludere coloro che si affacciano per la prima volta alla militanza civile/politica. Si tratta di una dinamica interna pericolosa, di cui si parla poco, ma che rischia di minare le fondamenta stesse del movimento:
“Non abbiamo le chiavi di nulla, non possiamo arrogarci il diritto di dire a nessuna persona: «tu sì, tu no». L’attivismo non è un club elitario, ci entri se hai voglia di farlo, non se hai la camicia inamidata. E non vogliamo buttafuori”.
Il problema di includere, ma soprattutto informare le persone, è uno dei più trattati nel libro e pertiene sia il rapporto all’interno della comunità, sia quello tra quest’ultima e il mondo esterno.
Altri sono poi i temi che hanno evidentemente rilevanza fondamentale nel mondo di oggi, per cui, oltre a invitarvi davvero a leggere questo libro, ci terrei ancora a citare un punto discusso che mi ha toccato particolarmente. Se infatti la forza della comunità è quella di offrire comprensione, supporto e complicità, la solitudine può colpire l’attivista nel momento in cui affronta il mondo sociale esterno alla bolla (da cui pur è chiamato ad uscire per informare). Di questo aveva peraltro discusso anche Reni Eddo-Lodge in Perché non parlo più di razzismo con le persone bianche, descrivendo la difficoltà di parlare dei propri valori e portare avanti le proprie battaglie nei raduni con amici e parenti, ma anche davanti a sconosciutə prontə a sbuffare o irrigidirsi davanti a simili argomenti. Si tratta di un atteggiamento descritto dalla stessa Facheris: essere accettati, apprezzati è un bisogno umano; eppure queste sensazioni smettono di esistere nel momento in cui l’attivista tenta di spostare il discorso su tematiche a ləi più vicine. È in quel momento che la stanza si gela, e chi ascolta alza gli occhi al cielo, e sospira. In poco tempo, aggiungo io, che più volte ho provato questa sensazione, si diventa la fanatica, l’esagerata, la femminista ad oltranza. È questo uno dei passaggi che ho più apprezzato, e quindi ci tengo a citarlo per intero, perché sapere che qualcunə ha sentito quella solitudine aiuta a imparare anche a gestirla:
“Cominciare a fare attivismo vuol dire anche prepararsi psicologicamente a venire trattate e trattati in maniera diversa. Improvvisamente, sei la persona che sta guastando la festa. Ti diranno che in tua presenza non si può più dire niente, che sei pesante, che dovresti imparare a prendere le cose con più leggerezza. Ti diranno che i problemi spesso sono solo nella tua testa, che vedi questioni inesistenti, che non sai rilassarti. Ti diranno che non puoi sempre fare l’attivista, come se l’attivismo fosse qualcosa che puoi tralasciare, un hobby come gli altri”.
A voi è mai capitato di sentirvi così? A me sì, tante volte, e non è mai facile. Ultimamente, poi, mi è successo più spesso del solito, ed è la ragione per cui di un libro così avevo bisogno. E non posso che consigliare anche a voi di leggere questo libro che tra l’altro proprio in questi giorni viene presentato in diverse località italiane. Per maggiori informazioni, ma anche per seguire l’autrice che come avrete capito stimo molto, vi rimando al suo profilo Instagram @cimdrp
Se invece l’avete già letto, sono curiosa di sapere cosa ne pensate e vi aspetto nei commenti per una chiacchierata!
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[…] Martedì scorso vi ho proposto una recensione del libro di Irene Facheris, “Noi c’eravamo”, che offre una riflessione approfondita e critica sul concetto di attivismo, sulle luci e sulle ombre che ne contraddistinguono la comunità e sul peso psicologico che comporta la militanza. Trovate l’articolo qui ☛ Luci e ombre dell’attivismo nell’ultimo libro di Irene Facheris […]
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