Empedocle: il primo pluralista

Briciola di filosofia #21

Trovate le puntate precedenti, sulla pagina dedicata a questa rubrica: Briciole di filosofia


Abbiamo visto fin qui come i pensatori della scuola di Mileto avevano individuato il fondamento della realtà (arché) in un principio materiale che permaneva immutabile al di sotto della nascita e della morte delle cose. E abbiamo anche visto come contro il divenire di Eraclito, che sembrava scardinare ogni certezza con la condanna del “tutto scorre”, era insorto Parmenide, a ribadire l’immutabilità e l’eternità dell’essere, relegando il movimento e la molteplicità nel mondo dell’errore. Chi aveva ragione, allora? Chi ammetteva la validità dell’esperienza sensibile, o chi la negava? I sostenitori del divenire o quelli dell’essere? Chi si fidava della percezione o chi scrutava negli anfratti del pensiero? In altre parole, i materialisti o gli idealisti?

Ritenendo che entrambe queste posizioni, oltre ad aver posto questioni fondamentali, contenessero elementi di verità, nel corso del V secolo a.C. si mosse tutta una schiera di pensatori che si applicarono a conciliare l’unità dell’essere con la molteplicità, e la sua permanenza col movimento, nello sforzo di “salvare i fenomeni” senza per questo rinnegare le ardite vette dell’eleatismo. E concordi nel porre dietro la plurima testimonianza dei sensi una realtà eternamente stabile e uguale a sé stessa, optarono non per un’unica arché, ma per una pluralità di principi. E per questa ragione furono più tardi detti “pluralisti”.

Il primo di questi pensatori, Empedocle (492 a.C.– 432 a.C.), eccezionale personalità di poeta, medico, profeta, sapiente, mago e guaritore, dopo aver approfondito le dottrine pitagoriche si spostò ad Agrigento, suscitando grande entusiasmo tra i discepoli che lo veneravano come un semidio. E fu forse proprio a confermare questa natura straordinaria che con accorta regia avvolse la sua morte in un’aura di leggenda: visto che, sparito improvvisamente dopo un banchetto, non lasciò altra traccia di sé che i calzari sulla bocca dell’Etna. E che fosse asceso agli dèi o accidentalmente scivolato nel cratere, che fosse bluff o inaccortezza, la sua misteriosa sparizione confermava la “divinità” della sua figura. Del resto non per niente aveva appreso da Pitagora anche l’idea della trasmigrazione delle anime: e non è escluso pertanto che i discepoli lo credessero reincarnato in qualche altra forma animale o vegetale.

Oltre a queste prodezze di illusionista, sul piano filosofico Empedocle fece un serio tentativo di conciliare Parmenide con Eraclito. E convinto che l’essere non può originarsi dal non-essere e non può cadere nel non-essere, ne accolse con convinzione l’eternità e l’immutabilità. Ma negandogli il carattere dell’unità per spiegare il movimento e la molteplicità delle cose, l’attribuì in egual misura ai quattro elementi della scuola ionica (aria, acqua, terra e fuoco) da lui ribattezzati come radici (rizomata), ognuna eterna e immutabile,ma che, combinandosi in varie modalità e proporzioni, spiegano con la loro alterazione intrinseca il divenire e la molteplicità del reale.

La domanda che sorge allora è perché queste radici si combinano o si allontanano. Che cosa le persuade a unirsi o a scontrarsi? Si tratta di una legge intrinseca o di una spinta esterna, come un intervento divino? A questa domanda Empedocle risponde che la combinazione è regolata da due principi cosmici, che ne determinano il dinamismo e la sorte: amore (filia) e odio /contesa (neikos).

Duplice è la genesi dei mortali, duplice è la morte: l’una è distrutta dalle unioni di tutte le cose; l’altra è prodotta quando esse si separano. E queste cose, continuamente mutando, non cessano mai. Una volta ricongiunte tutte nell’uno per amore, un’altra volta sono portate in direzione opposta dall’inimicizia.

L’amore essendo dunque inteso come energia agglutinante, e l’odio come veemenza separatrice, tutta la storia dell’universo non è che manifestazione della lotta permanente fra queste due forze di attrazione e repulsione, che si ripete costantemente in infiniti cicli, col prevalere ora dell’una ora dell’altra. Quando è l’amore a dominare, l’universo (e l’uomo) si configura come una sfera armonica, in cui i quattro elementi si trovano perfettamente fusi, senza distinzione qualitativa. Quando invece a prevalere è la contesa, si va incontro al disgregamento dell’unità con successivo sopravvento di uno stato di caos cosmico (e psicologico). Dopodiché, dalla massima separazione, ciclicamente, si torna all’unione, secondo un processo inesauribile, che però vale solo per l’universo, visto che nel mondo umano le scissioni si ricompongono molto più raramente.

Dalle quattro radici Empedocle deriva anche la teoria della conoscenza, di cui invero non nega la possibilità. Vero è che la vita è breve e dilegua come fumo, perché gli uomini sono “figli di un giorno”. Ma essa è possibile se le speculazioni dell’intelletto si fidano anche del concorso dei sensi. Considerando l’identità della struttura fisica degli organi recipienti e degli oggetti percepiti, entrambi costituiti dalle quattro radici, il processo di conoscenza si spiega allora con gli effluvi che provenendo dalle cose colpiscono i sensi attraverso i pori, secondo il principio per cui “il simile conosce il simile”. Ed è proprio l’impatto dei flussi delle radici sugli gli organi di senso che dà origine alla conoscenza, anche se essa poi deve passare al vaglio della ragione.


 

2 commenti

  1. […] 👉 Un articolo di Gerardo Passannante: Nella ventunesima puntata della sua rubrica Briciole di filosofia, Gerardo ci introduce al mondo dei pluralisti, dedicando uno sguardo approfondito a Empedocle. Questo antico pensatore greco del V secolo a.C. è noto per la sua teoria dei quattro elementi fondamentali (terra, acqua, aria e fuoco) e per il concetto di amore e odio che governano l’universo. Empedocle ha influenzato significativamente la filosofia presocratica, contribuendo alla comprensione della natura e del cosmo. Approfondisci il suo pensiero al link qui: Empedocle: il primo pluralista […]

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