La saggistica del ‘700: le mie pagelle

di Gerardo Passannante

Per sapere come nasce questa rubrica ☛ Le mie pagelle letterarie
Per leggere la prima puntata ☛ Poeti del ‘700: le mie pagelle
Per leggere la seconda puntata ☛ Scrittori del Settecento: le mie pagelle
Per leggere la terza puntata ☛ Teatro del ‘700: le mie pagelle (1/2)
Per leggere la quarta puntata ☛ DAL DRAMMA AL MELODRAMMA
Per leggere la quinta puntata ☛ La memorialistica nel 1700


L’Illuminismo, disse Kant, è l’uscita dell’uomo dalla sua colpevole minorità, il cui motto fu “sapere aude”ossia abbi il coraggio di conoscere, senza remore. E tutti sanno in effetti che questo grandioso movimento filosofico letterario esaltò per gran parte del ‘700 il culto della Dea Ragione, a cui veniva affidato il compito di rischiarare le tenebre della tradizione e del dogma. Essendo la religione incarnazione dell’autorità, del privilegio e dell’oscurantismo, si comprende che Voltaire invitasse a “ecrasez l’infâme”. Ma a questo anticlericalismo si aggiungeva ancora una critica al fanatismo e all’intolleranza, con l’invito al confronto e al rispetto verso chi pensa diversamente. La corrente si diffuse con esiti disuguali in tutti i paesi europei, anche se fu un fenomeno soprattutto francese e trovò la sua espressione riassuntiva in quell’Enciclopedia a cui collaborarono molti degli autori che troverete qui sotto, e le cui posizioni sulle questioni centrali sono spesso affini.


Pierre Bayle (1647-1706) – Pensieri diversi sulla cometa (1682)
★★★★★☆☆
Le premesse per il movimento illuministico si trovano già nel sensismo del secolo precedente, a cui si rapporta anche questo testo che ebbe grande fortuna. In polemica non solo contro la credenza popolare secondo cui le comete erano portatrici di sventura, Bayle negò l’attendibilità dei miracoli, traendo dalla critica alla religione anche conseguenze sul piano morale. E con scandalo dei contemporanei (e di molti moderni), sostenne che la religione non rende gli uomini necessariamente buoni, così come l’ateismo non li rende necessariamente malvagi; e che la morale non ha nulla a che fare con la fede in un Dio. Che è poi non troppo diverso da quanto sostenuto in tempi recenti da Margherita Hack.


Bernard le Bovier de Fontenelle (1657-1757) – Digressione sugli antichi e sui moderni (1688)
★★★★☆☆
Benché si tratti ancora di un’opera appartenente al secolo precedente, essa ci interessa qui perché l’autore, a proposito della querelle sulla superiorità degli antichi o dei moderni, elaborò una teoria per cui se gli antichi rappresentano l’età infantile dell’umanità e i moderni quella adulta, non per questo ci sarà un’età della vecchiaia, essendo il progresso continuo e infinito. La fiducia nella storia che procede come un razzo verso il benessere e la felicità, con vettore ascendente, feconderà la fede illuministica nella ragione umana. Dopo i rigurgiti romantici, ci penserà poi Hiroshima a distruggere definitivamente quel mito…


Georges Berkeley (1685 – 1753) – Trattato sui principi della conoscenza umana (1710)
★★★★
Se la critica ai grandi sistemi metafisici del XVII secolo in Inghilterra si fondò quasi sempre sull’empirismo, di matrice diversa fu invece quella svolta di Berkeley, che movendo da un intento apologetico sfociò in una soluzione immaterialista. Ponendo la conoscenza sul presupposto che esse est percepi, Berkeley ne derivò che se l’essere delle cose sta nella percezione che abbiamo, ne consegue che i concetti di causa, tempo e spazio, non potendo essere percepiti, hanno solo un valore empirico ma non oggettivo. E siccome le idee che abbiamo della realtà non sono causate dall’azione dei corpi esterni sui sensi, esse trovano fondamento solo in Dio. Personalmente mi trovo molto d’accordo con la premessa e molto poco con la conclusione.


Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646 – 1716)Monadologia (1714)
★★★★
Spaventato dal nuovo materialismo sensistico, e ritenendo il meccanicismo cartesiano incapace di spiegare l’infinita varietà degli esseri e il carattere finalistico del mondo, Leibniz elaborò la curiosa teoria che l’universo è costituito da una pluralità di centri di forze immateriali, da lui dette monadi, ognuna isolata e indipendente dalle altre (che sembrerebbe, ma non lo è, una primizia della solitudine esistenziale dei poeti novecenteschi…). Ne consegue allora che spazio e tempo non sono realtà oggettive, ma solo rappresentazioni delle monadi, la cui coesistenza e successione è garantita da Dio. Che le regola con perfetta sincronia, dal momento che tra le infinite soluzioni ha scelto di creare proprio questo mondo e non un altro, essendo esso il migliore tra tutti quelli possibili (suscitando le risa sganasciate di Voltaire nel Candido).


Giambattista Vico  (1668 – 1744) – La Scienza nuova (1725)
★★★★
Il criterio di evidenza per cui Cartesio tanto si era affaticato dopo le contorsioni del Cogito non sembra affatto valido a Vico come fondamento del sapere, per la ragione che l’uomo può conoscere solo ciò che egli stesso produce (verum ipsum factum) e ciò che produce altro non è che la sua storia, dove il fare e il fatto si identificano. Oltre quella newtoniana, si impone pertanto la necessità di una Scienza Nuova, con metodi e assiomi analoghi che Vico chiama Degnità, secondo una dinamica di corsi e ricorsi. Inoltre, fra lo sviluppo delle funzioni mentali dell’individuo e quello della società umana esiste una corrispondenza “ontofilogenetica” su cui vigila l’occhio della Provvidenza. Così, alle tre funzioni conoscitive del senso, della fantasia e della ragione corrispondono nello sviluppo storico l’età degli dèi, degli eroi e degli uomini. È durante l’umanità primitiva, percorsa da una metafisica non ragionata, che ha avuto vita la poesia omerica, che è quindi frutto di un’opera collettiva. In questo modo Vico assestava un colpo a tutti i presuntuosi che si credono eccezionali dentro la massa in cui si annullano.


Julien Offray de La Mettrie (1709 – 1751) L’uomo macchina (1747)
★★★★★★☆☆☆☆
Anche lui avverso alla formula cartesiana della materia come estensione, per esperienza diretta con i cadaveri, La Mettrie nega ogni distinzione tra anima e corpo, ritenendo, dopo aver tagliuzzato qualche cervello, che anche il pensiero sia una funzione cerebrale. Ne trae così il concetto di uomo macchina (o uomo pianta, dal titolo di un altro suo scritto), perché sottoposto alle stesse leggi naturali e fisiologiche di tutti i viventi, seppure con un più alto grado di organizzazione. E va da sé allora che anche la morale, abbandonando i cieli dei principi, in quanto generata anch’essa dal fisico non può che fondarsi su ciò che conviene al corpo, e dunque sul piacere…


Montesquieu (Charles-Louis de Secondat) (1689-1755) – Lo spirito delle leggi (1748)
★★★★★★★★☆
In quest’opera elaborata dopo attento studio di usi e costumi di diversi paesi, con l’intento di estendere al mondo umano lo stesso metodo sperimentale di quello naturale, Montesquieu respinge l’approccio di studiare la società su una astratta universalità, a favore dei fatti empirici che hanno prodotto istituzioni e norme. Le leggi risultano così essere il risultato della natura stessa delle cose, e lo “spirito” che le unifica, fondandosi sull’eguaglianza della natura umana, va identificato nella giustizia. Sicché il cittadino può dirsi libero solo quando la sua volontà si conforma alla legge, facendo non ciò che vuole ma ciò che deve. Ma perché essa non dia luogo ad abusi o degenerazioni, è necessario che l’organismo statale trovi un giusto equilibrio nella distinzione dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario. Autonomia che sta alla base di ogni costituzione moderna, anche se ogni tanto qualcuno se lo scorda, o cerca di darle una spallata…


David Hume (1711-1776) –Ricerche sull’intelletto umano (1748)
★★★★★★
Col proposito di costruire una scienza della natura umana a partire da una concezione empirista, Hume ritiene la conoscenza fondata su due classi di percezioni: le impressioni, vivide e immediate; e le idee, che sono impressioni languide e meno chiare. Le cosiddette idee generali sono pertanto delle idee semplici collegate mediante un’associazione basata sulla somiglianza, sulla continuità nel tempo e nello spazio, sulla causalità, e si basano sulla fallace presupposizione che ciò che abbiamo finora sperimentato si verificherà anche in futuro. Invece il nesso causale non è giustificato dall’esperienza, visto che solo l’abitudine induce a supporre il futuro conforme al passato. Pertanto la conoscenza ha solo valore probabilistico, e l’esistenza di una realtà esterna, nonché dell’io stesso, va sottoposta a un sano dubbio scettico.


Jean Baptiste d’Alembert (1717 – 1783) –Discorso preliminare dell’Enciplopedia (1751)
★★★★★★☆☆☆☆
Anche se l’autore abbandonò al VII volume la sua collaborazione all’Enciclopedia, questo scritto preliminare illustra chiaramente lo scopo dell’opera che meglio rappresenta nel suo complesso lo spirito dell’Illuminismo, con l’esigenza di collegare i vari campi del sapere, e rinnovare le conoscenze in un’ottica laica e progressista verso temi religiosi, politici o giuridici. Superando la tradizionale distinzione tra conoscenze teoriche e pratiche, e con ciò rivalutando il sapere tecnico contro la retorica degli studi umanistici, d’Alembert afferma già qui la necessità di una istruzione che sia divulgativa e destinata a tutti. Chissà cosa penserebbe della “cultura” elargita sui social dai tuttologi del web, ad uso e abuso universale di cani e porci…


Denis Diderot (1713 – 1784) – Dell’interpretazione della natura (1753)
★★★★★★☆☆☆
In questo saggio troviamo non solo i motivi tipici dell’Illuminismo, tipo l’esaltazione della ragione come guida, ma anche la consapevolezza dell’insufficienza del metodo geometrico che aveva dominato le scienze naturali. Muovendo dalla critica al modello meccanicistico, Diderot descrive perciò la natura come dotata di interna capacità di evoluzione, abbandonando il deismo di tipo newtoniano e orientandosi verso una forma di monismo. Dove però gli echi spinoziani sono bilanciati da spunti materialistici ancorati alla descrizione dei fenomeni, per frenare l’arbitrio di giudizi astrattamente teologici.


Étienne Bonnot de Condillac (1714- 1780) – Trattato delle sensazioni (1754)
★★★★★★☆☆☆☆
Per affermare il carattere acquisito e non innato delle funzioni mentali, e mostrare come esse si attivino gradualmente attraverso la sollecitazione di un unico organo sensoriale in un progressivo processo di animazione, Condillac inventa il famoso esempio di una statua inanimata, a cui vengono conferiti i cinque sensi, a cominciare dall’olfatto. Avvicinando una rosa, la statua avvertirà il profumo, senza essere in grado di distinguere l’oggetto; e lo stesso accadrà con i sensi della vista, dell’udito e del gusto. La situazione cambia però quando si introduce il senso del tatto, poiché se la statua muove una mano sul proprio corpo, avrà la sensazione di toccare e al tempo stesso di essere toccata. In questo modo potrà accertare l’esistenza di un mondo esterno con tutto ciò che ne consegue. L’esempio è paradossale, certo. Ma aiuta a riflettere sul fatto che gli occhi non si vedono (se non allo specchio), il naso non si odora, la lingua non si gusta, l’udito non si sente (tranne il caso di acufeni), ma solo il tatto si autosperimenta. Provare per credere!  


Claude-Adrien Hélvetius (1715- 1771) – Dello spirito (1758)
★★★★★★☆☆☆☆
Per la riduzione di tutte le facoltà spirituali alla sensazione, intesa come fenomeno puramente fisiologico, quest’opera fu al centro di una grande polemica, e fu condannata dall’autorità sia ecclesiastica che politica. Era certamente forte, dopo tanti sforzi spesi per rapportare la morale al sentimento religioso, dire che essa è invece fondata sull’amor proprio e l’interesse individuale, e che la virtù sta solo nell’aspettativa del premio. Chiaro allora che si trattava di una critica neanche tanto velata alla chiesa. Ma Hélvetius, pur dissentendo da Rousseau sul mito del “buon selvaggio”, non esclude però che esso possa essere educato dalle leggi e dalle istituzioni.


Jean- Jacques Rousseau (1712 – 1778) – Il contratto sociale (1762)
★★★★★★★☆☆
La fondamentale bontà della natura umana è andata a farsi friggere a partire dal momento in cui il progresso civile, con l’introduzione della proprietà privata, ha prodotto distorsioni egoistiche, accelerando un processo di decadenza e disuguaglianza. Una forma di associazione che possa valorizzare la libertà e l’autonomia della persona è quella che ognuno, unendosi a tutti gli altri, rimanga libero con la cessione dei diritti nelle mani della Comunità. Che non significa delegarli a un potere autoritario e assoluto, visto che la sovranità appartiene al popolo, che deve avere la facoltà di revocare il mandato.


Cesare Beccaria (1738 – 1794) Dei delitti e delle pene (1764)
★★★★★★☆☆
Prezioso libretto che storicamente costituisce il primo atto di denuncia della pena di morte. Se lo scopo della vita associata consiste nella massima felicità per il maggior numero di persone, lo stato deve provvedervi con le leggi e la punizione. Le pene però non devono oltrepassare la necessità di salvaguardare la salute pubblica, e vanno commisurate al delitto, peraltro solo dopo che la colpa sia stata davvero accertata. Per questo, non avendo nessuno il diritto di torturare o uccidere un altro, la pena di morte, oltre che sproporzionata, non consegue neppure lo scopo di dissuadere, raggiunto, più che dalla gravità della sanzione, dalla certezza della sua applicazione.


Voltaire (François Marie Arouet) 1694 – 1778) – Dizionario filosofico(1764) e altri scritti
★★★★★★★☆☆
Guidato dalla bandiera della ragione liberatrice dagli errori e dall’oscurantismo, e in polemica contro le religioni positive che gli appaiono incarnazione del fanatismo e dell’intolleranza, Voltaire nega ogni intervento provvidenzialistico e riduce anche la storia sacra a storia profana. Estraneo a ogni antropocentrismo come alla fiducia in interventi divini, ritiene le religioni positive tutte intimamente contraddittorie, contro la religione naturale che sola insegna il massimo di morale col minimo di dogmi. Ma il suo anticlericalismo non è di stampo ateo, visto che l’ordine del mondo e la regolarità delle sue leggi inducono ad ammettere l’esistenza di un “orologiaio” dell’universo spoglio di ogni attributo teologico, per cui se Dio non esistesse occorrerebbe inventarlo…


Paul-Heinrich d’Holbach (1723-1789) – Sistema della natura (1770)
★★★★★★☆☆
Se dall’ipotesi atomistica la realtà è ridotta a materia e movimento, anche l’uomo, in quanto essere fisico, è sottoposto alla medesima necessità, che lo priva ipso facto di una posizione privilegiata nell’universo, tanto che la sua presunta volontà non è altro che una modificazione del cervello. E se nessuno può agire diversamente da come agisce, perché non può essere diverso da quello che è, la morale non può fondarsi che sulla ricerca della felicità e dell’utilità. Quanto alla religione, respinta anche nella sua forma naturale di cui le positive sarebbero solo degenerazioni, la sua natura va cercata nel proposito di ingannare e dominare le coscienze con la paura, l’ignoranza e la superstizione. Concezione spietata e cinica la sua, ma vogliamo proprio dargli torto?


Edward Gibbon (1737 – 1794) – Il declino e la caduta dell’Impero romano (1776- 89)
★★★★★★★☆☆
Abbracciando il periodo che va dal 180 fino alla caduta di Costantinopoli in mano ai turchi, quest’opera grandiosa resta fondamentale per la comprensione di popoli e movimenti spirituali del periodo considerato. La decadenza dell’impero, per Gibbon, va di pari passo col virare del clima religioso dal paganesimo al cristianesimo e poi all’avvento dell’islam. Frutto di un acuto intuito critico applicato a un’accurata ricerca documentaria, quest’opera resta la bibbia per chiunque voglia comprendere le ragioni della caduta dell’Impero romano, anche se intanto la storiografia successiva è andata per altre vie con altri contributi. Ma va da sé che mi è stata preziosa fonte per il Declino degli dèi, del cui titolo comunque non gli sono debitore.


Immanuel Kant (1724 – 1804) – Critica della ragion pura (1781)
★★★★★★★★
Se per tutto il Settecento la Ragione aveva celebrato un trionfo che sembrava non conoscere arresto, a un ventennio dalla fine del secolo, a suo coronamento e barriera, apparve quest’opera capitale che avrebbe deviato il corso stesso della filosofia. In effetti nella Critica della Ragion pura (che insieme alla Critica della Ragion pratica e alla Critica del giudizio costituisce l’essenza del cosiddetto criticismo), Kant chiamò la ragione stessa alla sbarra, per analizzarne pretese, possibilità e limiti. Ponendo però a base della ricerca non più l’oggetto ma il soggetto stesso, affermò che la conoscenza avviene quando la realtà esterna si adatta a strutture preesistenti in noi come condizioni a priori della sensibilità (spazio e tempo) e dell’intelletto (12 categorie, più quella suprema dell’io penso). E facendo dello spazio e del tempo non realtà oggettive ma forme pure della sensibilità, come forme pure dell’intelletto sono le categorie, superando sia il dogmatismo leibniziano che lo scetticismo humeano, operò una rivoluzione analoga a quella astronomica di Copernico. Nel mio piccolo posso dire che questo libro, su cui feci senz’altro il mio più gratificante esame universitario, produsse anche su di me un’intima ma decisiva “rivoluzione copernicana”.

4 commenti

  1. […] La saggistica del ‘700: le mie pagelle: è ripresa dopo la pausa natalizia Le mie pagelle letterarie, la rubrica curata da Gerardo Passannante, che valuta le migliori opere letterarie dal 1700 al 2000. Questo articolo è l’ultimo dedicato al XVIII secolo e si concentrata sulla saggistica con autori del calibro di Hume, Kant, Diderot e molti altri. […]

    "Mi piace"

Lascia un commento