Un amore di Buzzati: prostituzione e pregiudizi contro la forza inarrestabile dell’Eros

Ricorre domani l’anniversario della morte di Dino Buzzati, nato a Belluno il 16 ottobre 1906 e morto a Milano il 28 gennaio 1972. Per omaggiare questo grande scrittore, ho pensato di presentare questo suo romanzo anomalo ma non meno significativo.


Pubblicato nel 1963, e ispirato per ammissione dello stesso autore da una vicenda reale, Un amore segna un importante punto di rottura nell’opera di Buzzati. Che abbandonata l’atmosfera surreale e vagamente kafkiana della produzione precedente, si volge a ritrarre in modo crudamente realistico una tormentata vicenda sentimentale, sullo sfondo di una Milano industriosa e conformista:

Carte, registri, moduli, telefonate, quietanze, mani ingombre di penne, di arnesi, di matite, intente a una vite, a un incastro, a un’addizione, a un innesto, a una saldatura, a un estratto conto, a un fissaggio, sterminio di formiche frenetiche assetate di benessere, eppure i loro pensieri oh, gli veniva da ridere, tutto intorno, per chilometri e chilometri suddetti pensieri simili ai suoi, sconci e squisiti per la misteriosa voce che chiama alla propagazione della specie, trasumanata in vizi strani e brucianti, perché mai nessuno aveva il coraggio di dirlo?

In questa città operosa e perbenista ma non scandalizzata da una prostituzione ipocritamente sfruttata da chi, per un una manciata di lire, può permettersi corpi adolescenti, si muove Antonio Dorigo (come non pensare a Drogo del Deserto?), architetto quasi cinquantenne, che consapevole del suo aspetto modesto, e convinto per timidezza che la donna sia una creatura vagamente superiore e indecifrabile, solo nel sesso a pagamento ritrova il gusto contorto e colpevole dell’illecito. Ed è proprio in una casa di appuntamenti frequentata da clientela scelta, che in una grigia giornata del febbraio 1960 incontra Laide (e il pensiero corre a Taide, da Dante detta semplicemente “puttana”), una giovanissima ballerina alla Scala, che per pochi soldi si vende a danarosi attempati della buona borghesia.

     Apparentemente ingenua ma fermentante di vita rispetto alla noiosa onorabilità di Dorigo, mescolando modi popolareschi e vezzosi, con disinvolta provocazione Laide lo incanta al punto da spingerlo a richiedere altri incontri per stabilire una certa familiarità, verso cui lei si mostra però renitente e inafferrabile, mentre Dorigo non riesce a sottrarsi al fascino della ragazzina maliziosamente spregiudicata, e sempre più attratto dalla sua ambigua vitalità di vizio e innocenza, scivola in una passione fatale. E progressivamente, lui che ha risolto il bisogno solo in piaceri momentanei, scopre la forza devastante dell’amore in una piccola prostituta raggiungibile solo dietro compenso. Ma sapendo che Laide (nomen omen) non sarà mai sua del tutto, essendo oggetto di svago per molti, perde ogni pudore, per ritagliarsi almeno un posto nei sentimenti della ragazza, che invece lo umilia con sfacciate menzogne e tradimenti. Pur di averla per sé Dorigo sarebbe persino disposto a sposarla, coprendosi di ridicolo mentre lei dopo una settimana riprenderebbe la sua solita vita. Ma d’altra parte, se appena prova a staccarsene, piomba nel vuoto e nella solitudine, poiché a nessuno può confidare un tormento che si addice agli sciocchi, ma non a un professionista colto e avvezzo a rapporti disimpegnati e furtivi.

E capire che la faccenda è ridicola, stolta e rovinosa, che è la classica trappola in cui cadono i cafoni di provincia, che chiunque gli avrebbe dato dell’imbecille e che perciò da nessuno può attendersi consolazione, aiuto, o pietà, consolazione e aiuto possono venire unicamente da lei ma lei di lui se ne frega, non per cattiveria o gusto di far soffrire solo che per lei egli non è che un cliente qualsiasi, del resto cosa ne sa Laide che Antonio è innamorato? non le può passare neppure per la mente, un uomo di ambiente così diverso, un uomo di quasi cinquant’anni E gli altri? la mamma, gli amici? guai se sapessero. Eppure anche a cinquant’anni si può essere bambini, esattamente deboli smarriti e spaventati, come il bambino che si è perso nel buio della selva. L’inquietudine, la sete, la paura, lo sbigottimento, la gelosia, l’impazienza, la disperazione. L’amore.

     Col passare del tempo, pur mostrandosi puntuale e premurosa a modo suo, con un fondo di cinismo professionale Laide rivendica sempre più la propria condizione di donna-oggetto, della cui mercificazione accusa lui e tutti quelli che la favoriscono. E Antonio deve rassegnarsi progressivamente alla sconfitta di non poterla salvare. A riportarla nella vita “normale” non basta l’amore e non bastano i soldi, come gli fa intendere una collega di Laide, nel dirgli che, nel tentativo di possederne oltre il corpo anche l’anima, in realtà Dorigo è rimasto ancorato ai propri pregiudizi di classe, incapace di accettarla per quella che è, con i suoi vizi e la sua freschezza, con le sue menzogne e il suo segreto pudore. E persa definitivamente la speranza, capisce che quello slancio folle e quello struggimento logorante che lo rendevano vivo, altro non erano che l’estremo sussulto della giovinezza, prima di scendere il pendio verso la morte.


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… la velocità il precipizio gli avevano fatto dimenticare l’esistenza della grande torre inesorabile nera. Come aveva potuto dimenticare una cosa così importante, la più importante di tutte le cose? Adesso era là di nuovo si ergeva terribile e misteriosa come sempre, anzi sembrava alquanto più grande e più vicina. Sì l’amore gli aveva fatto completamente dimenticare che esisteva la morte. Per quasi due anni non ci aveva pensato neppure una volta, sembrava una favola, proprio lui che ne aveva sempre avuto l’ossessione nel sangue. Tanta era la forza dell’amore. E adesso all’improvviso gli era ricomparsa dinanzi, dominava lui la casa il quartiere la città il mondo con la sua ombra e avanzava lentamente.

     Tornano così anche in Un amore alcuni temi congeniali a Buzzati, come l’attesa delusa, l’incombere del fato misterioso, il senso inesplicabile dell’ovvietà quotidiana e l’ombra della morte. Ma nell’ambientazione in una plumbea città dalle connotazioni oggettive, l’inquietudine si sposa alla denuncia del perbenismo e dell’ipocrisia che alimenta la prostituzione come squallida fuga da una moglie abitudinaria verso una ragazza in fiore da possedere con quattro soldi. Caduta da cui Dorigo parzialmente si assolve, perché, più che una sordida avventura della carne, tra mille tormenti e dentro un involucro di menzogne e umiliazione, nell’abiezione ha fatto la tremenda e travolgente esperienza dell’amore.

Il romanzo è scritto in una prosa scorrevole, per molti aspetti giornalistica, con ricorso a un continuo dialogo. Per esigenza di verosimiglianza, il linguaggio è spesso crudo e diretto. In alcune costruzioni a inversione, o nei monologhi interiori, saltano anche le regole della sintassi e della punteggiatura, come riflesso del magma interno dello stream, prima che la narrazione ritorni lineare. Eppure in quei passaggi di ribollio vivono le parti più intense del romanzo, quando Dorigo, abbandonata la mimesi riflette sull’orrido di quanto accade, con una rassegnazione e un’arrendevolezza che la coscienza, più che lenire, accentua. Nelle considerazioni in terza persona, o nelle riflessioni del protagonista, la scrittura rivela allora una passione ispirata e quasi risentita davanti all’ineluttabilità di un amore che fa dimenticare le norme di buona condotta, e rende ridicolo e patetico ma anche più ricco chi osa scendere, senza ipocrisia e pregiudizi, alle più genuine radici dell’Eros, dove si annida, non meno incontrastata e persuasiva, la complementare spirale di Thanatos.

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