“Non a te nudo amore”: il sentimento in tutte le poesie del mondo

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L’amore in poesia è uno dei temi più trattati, alcune volte in maniera banale, risibile, altre volte con una maggiore profondità: lungo i secoli tutti i letterati, in minore o maggiore misura, si sono cimentati con questo sentimento, variamente declinato nella passione erotica o nell’affetto amicale, nel rapporto sponsale come nella carità verso gli altri.

Del resto se nella sua incommensurabile grandezza Dio, in Dante, è “l’amor che move il sole e l’altre stelle” chi può venire meno o apparire riluttante a un afflato poetico che ne colga il segno più immediato quando non ne scopra la presenza nei reconditi antri dell’anima? Ad esso è dedicata un’antologia di poesie scelte da Nicola Crocetti e Massimo Recalcati apparsa per la Crocetti Editore dal titolo Non a te nudo amore: sono ivi condensati i versi di un’ottantina di poeti scomparsi e viventi, italiani e stranieri, classici e contemporanei, che nel loro dire hanno concepito e sviluppato, chi con abbacinanti epigrammi, chi ricorrendo a un verso più prosastico ma ugualmente incisivo, il turbamento del cuore, lo sconvolgimento emotivo, l’arricchimento vicendevole di umanità.

A introdurre i vari testi qui riuniti (con traduzioni nel caso delle lingue estere) è lo stesso Recalcati che fornisce un’interessante dissertazione sull’amore in poesia, formulato in maniere difformi nei vari campi dello scibile umano (la psicanalisi, la letteratura, la scienza), un ideale modo per anticipare quelle sensazioni, quegli stimoli, quelle contaminazioni sospese o rivelate lungo le pagine che seguono. Apre uno dei classici per eccellenza della nostra poesia, Francesco Petrarca, con un passo del Canzoniere, chiude l’iraniana Forugh Farrokhzad, una delle voci più limpide e intense della cultura persiana. Così possiamo scorrere a volo d’uccello (del resto in un volume così fitto di nomi sarebbe impensabile soffermarsi su ciascuno di essi) cercando di incuriosire il lettore: il metafisico Caproni appare con le sue negazioni nella poesia dedicata all’amata moglie Rina e Ibico “vibra” al sopraggiungere di Eros, prorompente divinità-sentimento che tutto percuote, lo stesso Eros con cui Catullo “chiama” a rapporto Lesbia.

Se per Beethoven la musica nasce dal cuore e al cuore ritorna, in Goethe è il sentimento amoroso a muovere le corde di esso, di più: senza amore “saremmo perduti”. Tuttavia Lucio Mariani, autore romano scomparso 8 anni fa, indica la strada per non farsi sopraffare “dall’invidia degli dèi che non arretra di un passo e ti ammaestra a non scoprire mai la nostra gioia”; tutt’altro movimento è quello di Giorgio Manganelli, lo sferzante autore che arriva a paragonare l’amore “al tetano che inchioda le mascelle”, “all’ulcera, fiore perplesso” e persino “al tumore, autonomo individuo”, a significare la prepotenza e il tumulto che esso può alimentare. Nel verso di Francesco Scarabicchi, lieve e soffuso, rinveniamo una “inclamata beltà/dovuta al caso” a coinvolgerci in questo suo abbraccio ideale di gentile bellezza come analogo stupore ci coglie Lucrezia Lerro, poetessa nata nel 1977 che esalta l’amore arrivando a definire “il mondo in una parola, nel suo nome”.

Per Rainer Maria Rilke “niente è paragonabile” poiché ci troviamo al cospetto dell’Eterno tanto che “chi si oppone perde/ la sua parte di mondo”. La “assenza, più acuta presenza” di bertolucciana memoria fa sponda con Pablo Neruda che nel volume in oggetto scorge che “mi verrà di colpo tutto l’amore/ quando mi sento triste, e ti sento lontana” e con Edoardo Sanguineti, poeta di rottura, il cui verso gnomico dice che “se mi stacco da te, mi strappo tutto”. L’amore non può rimanere in silenzio, nemmeno può essere sottaciuto: mettere in versi la vita, sosteneva Giovanni Giudici, è anche celebrarne la bellezza e dunque “scrivete – è il comandamento di Jean Cocteau – non importa dove la gloria del momento” poiché, prima o poi, “ci resterà la traccia di un bacio”. Di più, ciò che rimarrà è il ricordo imperituro di un sentimento che non trascolora: Elio Pagliarani, infatti, declama che l’amore “dà un senso a tutta la mia vita (…) a questa primavera tempestiva”, e Giovanni Raboni attende, rivolgendosi all’anima, “e m’incanto”. La poesia-prosa arcuata e lambente i territori della psicanalisi di Maria Antonietta Viero immagina e disegna figure (“aquilone in palmo al vento per quel ‘bene’, ‘ti voglio’”) con Mario Luzi che nel suo empito spirituale ci convince che “sia grazia essere qui, / nel giusto della vita, /nell’opera del mondo”. Un meccanismo “che funziona” e che pur partendo da sorgenti diverse arriva a un comune sentire: questo è ciò che ci lascia lo svedese Göran Tunström e a nulla serve chiederci cosa esso rappresenti, trattandosi, per Mimnermo di una “Dea, puro oro”.

A chiusura di questo breve excursus non possiamo non richiamare una delle poesie che più di tutte è intrisa d’amore, nello specifico per la propria donna, ormai scomparsa nel regno dei più, e per ciò che in lei si è trasfigurato. È di Eugenio Montale e il riferimento è alla Mosca Drusilla Tanzi: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale/ e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”.

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