«Misura per misura»: un’attualissima tragedia

2–3 minuti
Pillola di teatro

Pur appartenendo alla grande stagione creativa che da Amleto conduce a Otello, Re Lear e Macbeth, e pur non godendo della medesima popolarità, Misura per misura occupa a giusto titolo una posizione d’onore tra quei capolavori, ai quali non è né poeticamente né tematicamente inferiore. Alla sua diffusione forse ha nuociuto il fatto che non fa inorridire come una tragedia, e non suscita il riso franco della commedia: e infatti, malgrado alcune concessioni allo spirito elisabettiano, si tratta di un dramma moderno, con lieto ma amarissimo fine…

Questa in breve la vicenda. Il duca di Vienna, fingendo di intraprendere un viaggio fuori dai suoi territori, affida il governo della città ad Angelo, magistrato di esemplare rigore, che subito lo dimostra condannando a morte Claudio per aver sedotto Giulietta. Claudio prega la sorella Isabella, novizia in un convento, di intercedere presso Angelo affinché gli conceda la grazia. Inizialmente irremovibile, l’incorrotto giudice finisce per offrirle la vita del fratello in cambio del suo onore. Indignata, Isabella rifiuta. Ma quando comunica al fratello il rifiuto di cedere all’indecente proposta, convinta della sua approvazione, capisce invece che Claudio, pur di salvare la vita, ne accetterebbe il sacrificio. Intanto il duca, che travestito da frate non ha lasciato Vienna, preso atto dell’infame condotta di Angelo, escogita un tranello per salvare sia la vita di Claudio che l’onore di Isabella. E dopo una serie di peripezie, che coinvolgono tutti gli altri personaggi, alla fine perdona Angelo, costringendolo al matrimonio con una ragazza che precedentemente l’integro giudice aveva sedotto, si innamora a sua volta di Isabella, grazia i burloni e assolve i maldicenti

La tragedia è evitata, insomma. Ma pure, se non ci sono morti, alla fine resta l’amarezza del miserabile vilipendio della giustizia. La vicenda principale altro non è che l’illustrazione di una prassi giudiziaria ipocrita e corrotta, accomodante e personale; e al criterio “assoluto” (forse divino) del duca mal s’adegua l’ambiguità della giustizia ordinaria. Se Angelo, da giudice integerrimo si lascia travolgere dalla passione sensuale, altri la falsificano, la irridono, si perdono nei suoi labirinti, o la contravvengono sfacciatamente, mostrando che la giustizia “addomesticata” è l’unico modo in cui un principio morale può trovare cittadinanza tra gli uomini. La giustizia resta così è solo uno strumento del potere, a sua volta esercitato in maniera arbitraria. Al di là dei principi ideali, l’unica autentica applicazione della giustizia concessa agli uomini resta la legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente, misura per misura…

In nessun altro dramma di Shakespeare viene presentato un quadro altrettanto efficace di una società corrotta, col progressivo venir meno delle istituzioni, da cui tutti i personaggi sono in qualche modo contaminati. Ché se i confini tra giusto e ingiusto sono così labili e mutevoli, qualunque azione è permessa pur di soddisfare il proprio appetito. Ecco il ritornello di questa fosca commedia, che resta pertanto uno dei drammi più attuali e stimolanti di Shakespeare.

🧐 Curiosità: nel 1833 Puškin vi si ispirò per il suo poemetto  Andzelo (Angelo). E un anno dopo Wagner ne trasse la sua prima opera, Das Liebesverbot (Il divieto di amare).

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