L’intellettualismo socratico

Briciola di filosofia #30

3–5 minuti

Trovate le puntate precedenti, sulla pagina dedicata a questa rubrica: Briciole di filosofia


Anche se l’interesse prevalente di Socrate è incentrato sul mondo umano, e in particolare sull’etica, le sue indagini prendono connotazioni anche logico-linguistiche quando punta alla ricerca di una definizione; e soprattutto dopo lo scardinamento della verità operato dai sofisti, ritiene che anche nell’ambito del soggettivismo etico sia possibile individuare criteri di valutazione universali, risalendo dall’esame delle diverse virtù alla loro essenza.

    Per definire, ad esempio, cosa sia il coraggio, non basta ritenere una singola azione coraggiosa o meno, perché con i casi particolari si va inevitabilmente incontro a opinioni relative e contraddittorie. Con un procedimento che più tardi sarà detto induttivo, Socrate suggerisce invece di risalire dal particolare all’universale, chiedendosi non se questa azione sia coraggiosa, ma quale sia l’essenza stessa del coraggio, il ti esti che possa qualificarlo in ogni circostanza. Un discorso analogo va fatto per altre virtù, come la giustizia, la bontà, la bellezza. Non basta dire che un’azione è giusta (visto che un altro potrebbe ritenerla ingiusta), che un evento è buono (mentre per un altro è catastrofico), che un affresco è bello (ma per un altro è un obbrobrio). No. Occorre invece, dall’indagine dei singoli fatti giusti, buoni e belli, risalire all’essenza del Giusto, del Buono e del Bello, che possa essere valida per tutti. Questione non da poco, come si vede (e che sarà anche il tormento di Platone), visto che ancora oggi vulgate poco inclini alle analisi aggirano lo scoglio dell’assiologia con la ricetta che “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace…”

Se la questione non è affatto di facile soluzione, essa è rivelatrice di un orientamento disposto al dialogo, ma anche impregnato di alcune certezze dogmatiche. Poiché di certo sarebbe utile che la ballerina natura umana potesse accordarsi su questioni fondamentali, ma la cosa sembra decisamente più problematica quando si affronta la questione del bene e del male. Alla cui drammatica conflittualità assistiamo nel nostro torbido presente, se pensiamo che contro ogni principio etico per cui uccidere è male, ammazzare il nemico in una guerra “giusta” diventa un bene, e chi più ne fa fuori diventa un eroe!

Contro la persuasione che il bene coincida col soddisfacimento personale, e che ogni uomo mira solo al proprio tornaconto, Socrate rinnova il relativismo sofistico affermando che ognuno cerca il beneSicché nessuno fa volontariamente il male per il puro gusto di farlo (non aveva letto De Sade…), ma solo “accidentalmente” considerandolo un bene, perché ignora cosa sia il vero bene. Sicché il malvagio, in definitiva, è solo un ignorante, mentre la conoscenza porta sempre a scegliere la via da cui non possono provenire né dolore né male. È in questa discutibile equazione tra scienza e virtù, e tra ignoranza e vizio, che consiste il suo famoso intellettualismo etico

Le leggi

Intellettualismo che si riscontra ancora sul piano giuridico, a proposito della validità delle leggi, davanti alle quali Socrate, che pure indagava acriticamente la realtà, attribuisce una valenza vagamente religiosa. Respingendo la tesi sofistica della legge come artificioso freno agli istinti della specie, e dunque scavalcando il convenzionale patto giuridico, Socrate ritiene invece che le leggi, il cui statuto è superiore alle interpretazioni che se ne danno, non consentono che si possa contraccambiare l’ingiustizia con l’ingiustizia, o rendere il male per il male. E insomma vanno rispettate anche quando ci sembrano ingiuste. E se subire ingiustizia è un male, un male ancora peggiore è farla, o restituirla.

Senza compromessi  

Ben curiosa posizione, invero, da parte di chi, pur amando la propria città, non risparmiava critiche né al regime oligarchico né a quello democratico, in nome del principio per cui il perseguimento della verità impone di non guardare in faccia a nessuno. Una spassionata necessità che, in aderenza alla propria esigenza di giustizia interiore, lo portava ad essere controcorrente e severo verso istituzioni alle quali pur tributava un ossequio formale. Da qui il processo, e la condanna a morte. Che non volle evitare, e che rese inevitabile irritando i giudici col rifiuto ad ogni compromesso, e respingendo l’invito a una facile fuga, per non infrangere una legge che pur risultava ingiusta al suo solido senso etico. 


Unisciti gratuitamente a centinaia di nostri abbonati e abbonate, e sii il primo a conoscere nuovi contenuti.

 

Un commento

Lascia un commento