Ha ragione Bocchino: l’Italia è un Paese di destra, e altre storie librose

Una settimana di letture #140

4–6 minuti

Negli ultimi due numeri mi sono soffermata, e forse dilungata, su argomenti che mi stanno particolarmente a cuore, come il nuovo romanzo di Sally Rooney e le riscritture moderne dei classici. Questa settimana, invece, ho deciso di ridurre un po’ la lunghezza e concentrarmi su un tema che sta già facendo molto discutere nel mondo editoriale: l’uscita di Perché l’Italia è di destra di Italo Bocchino. Anche se molti parlano del recente Nobel a Han Kang, credo che questo libro meriti uno spazio di riflessione tutto suo, data la portata del suo contenuto.

Non leggerò il libro di Italo Bocchino. Preferisco sentirne parlare attraverso articoli e interviste, per una pura ragione politica: non ho interesse a riascoltare il suo punto di vista. Immagino che alcuni di voi stiano già storcendo il naso, chiedendosi: “Ma come? Proprio tu, che leggi di tutto, non vuoi confrontarti con una visione diversa?”. La realtà è che il pensiero di Bocchino lo conosco fin troppo bene, dato che è ospite frequente di Otto e mezzo, programma che seguo ogni sera. Avevo già una chiara idea di cosa aspettarmi da questo libro — il fatto che La Russa lo consigli come ‘manuale scolastico’ la dice lunga — confermata anche dall’ottima analisi di Marino Sinibaldi nel podcast Timbuctu (che vi consiglio di ascoltare, disponibile gratuitamente per tutti), oltre ai commenti di Lucio Caracciolo, che forse di storia ne sa qualcosa più di Bocchino.

È evidente che la destra stia cercando di costruirsi un retroterra “culturale”, basato su teorie alternative e post-verità, per riscrivere un passato molto scomodo e mai davvero superato. Lo vediamo con Bocchino, ma già prima con Vannacci, seppur in una versione più grezza. Bocchino, infatti, riesce a destreggiarsi meglio nel confezionare un fumo accettabile per i salotti che contano. Questa tendenza è in netto contrasto con il destrismo delle maniche rimboccate e delle felpe “parlanti”, rappresentato alla perfezione dal famoso affaire Nutella sollevato da Salvini.

Una cosa è evidente e direi incontrovertibile: Bocchino ha ragione. Il senso del suo libro è chiaro: vuole spiegare, con argomentazioni e dati la cui qualità è da quanto leggo discutibile, perché gli Italiani sono di destra. Non discuto i “perché”, ma riconosco come vero il presupposto che sta alla base: sì, l’Italia è un paese destrorso. Ha votato a destra, ha un governo di destra, e la maggior parte dei suoi cittadini aderisce a un pensiero essenzialmente conservatore. Possiamo trovare tutte le sfumature del mondo o minimizzare quanto vogliamo, ma resta un fatto: c’è stata un’elezione, chi voleva ha votato, e la maggioranza ha scelto la destra.

Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato nell’essere conservatori o nazionalisti, e non è un crimine credere che un italiano non possa essere tale se è musulmano o ha la pelle scura. È legittimo che una popolazione possa optare per questa visione politica, ed è proprio quello che è successo. Mi fa piacere? No, ovviamente no. Sono cresciuta in una cultura progressista, sono una convinta europeista, e credo nel valore della contaminazione tra popoli e culture (sono io stessa figlia di due nazioni diverse). Ma è giusto riconoscere il Paese per quello che è, senza nascondersi dietro l’idea che la colpa sia della sinistra che non propone nulla di nuovo o del sistema che spinge a votare il “meno peggio”.

Si può pensarla come si vuole, ma esistono ancora una destra e una sinistra, un approccio conservatore e uno progressista. Ogni volta che si vota, si sceglie tra questi due archetipi. La sinistra può non piacere, e forse destabilizza (ancora ?) vedere una leadership femminile che non proviene da un ambiente operaio, che usa un lessico più complesso (che richiede, Dio non voglia, di fermarsi a riflettere!). Ma se si crede davvero in certi valori, non si vota per le ragioni opposte

Se poi si decide di non andare a votare per protesta, bisogna accettare la responsabilità di lasciare che altri scelgano per noi. Questo significa, a volte, ritrovarsi in una nazione in cui non ci si riconosce, proprio perché non si è votato. Oggi, che ci piaccia o no (e se non ci piace, dovremmo rifletterci), l’Italia è un paese di destra. Questo non implica l’assenza di democrazia o l’imminente arrivo di una dittatura, ma ci pone di fronte a politiche essenzialmente reazionarie, che mirano a preservare lo status quo.

Come tutto ciò possa funzionare in un mondo in piena rivoluzione ed evoluzione, non lo so. Ma tant’è: lo abbiamo scelto noi, in un modo o nell’altro. E lo dico pensando a quegli intellettuali che restano in silenzio, che non votano e non usano il loro potere mediatico, non per sostenere un partito, ma almeno per spronare tutte le generazioni a esprimere la propria opinione, a non lasciarsi trascinare passivamente. È troppo facile, dopo le elezioni, a giochi fatti, rivendicare il ruolo di intellettuale di sinistra che resiste all’avanzata della destra…

E niente, ho scritto molto anche questa volta, pazienza. Pure io, mi sa, parlo troppo…

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