Briciola di filosofia #31

Se la voce di Socrate si era spenta nell’apoteosi della condanna, la sua parola aveva invece continuato idealmente a risuonare nelle menti dei tanti amici. A partire da Platone, che per sollevarsi dal particolare all’universale si industriò a trovare l’essenza delle cose, facendone il cardine della propria filosofia nella dottrina delle idee. Ma benché fosse il più geniale, Platone non fu l’unico continuatore del maestro. Molti furono invece i discepoli che ne prolungarono l’insegnamento nelle cosiddette “scuole socratiche minori”: anche se, per l’incapacità di coglierne la complessa unità, smembrarono in vari rivoli ora l’uno e ora l’altro aspetto della sua dottrina, innestandoli di volta in volta su quella di Protagora, Parmenide o Empedocle.
La scuola megarica
La prima di queste scuole fu fondata a Megara da Euclide (da non confondere col grande geometra vissuto circa un secolo dopo), tanto affezionato al maestro che quando gli ateniesi vietarono ai megaresi l’ingresso in città, pur di continuare a visitarlo ci andava di notte sotto indumenti femminili… Volendo dare al socratismo un fondamento ontologico, come a ben altri livelli faceva Platone, Euclide agganciò il motivo socratico della virtù a quello parmenideo dell’essere, traendone il principio dell’unità del bene, che se pur denominato in vari modi (Intelletto, Dio, Saggezza), resta sempre identico a sé, immutabile e incorruttibile. Ne consegue che se il bene è uno, tutto ciò che non è bene è irreale. Squalificati così con la negazione della molteplicità e del divenire anche i dati del senso, sul piano della morale non resta che una sorta di indifferenza verso le contingenze della vita. In questo modo si ribadiva l’esigenza socratica dell’etica superiore del bene in sé, con l’implicito invito a muoversi nel mondo con saggezza pratica.
Difficoltà logiche
Quella predicata dai megarici, tuttavia, non era un’indifferenza di presunzione, ma si fondava sulla difficoltà ad attingere la verità, e dunque ad aspirare a un discorso scientifico. Inclini ad alcune posizioni sofistiche, e a estensione del principio di identità, essi ribadivano infatti l’impossibilità logica di giudizi in cui il soggetto sia diverso dal predicato. Non si può dire per esempio che “il cane è un animale”, poiché sul piano logico l’unica affermazione possibile è che “il cane è il cane”. E se anche vogliamo affidarci a un principio di analogia, resta arduo definire il cane riferendoci a qualcosa che gli assomiglia soltanto, come “animale”, che si può predicare anche del bue o del cavallo. Sicché l’espressione “il cane è un animale” non dice nulla di preciso e non afferma nessuna verità.
Paradosso del mentitore
A sostenere la difficoltà logica del molteplice, nel solco delle antinomie, e ispirandosi ai procedimenti della dialettica eleatica di Zenone, i megarici escogitarono alcune simpatiche aporie. Una delle quali consiste nel cosiddetto Paradosso del mentitore (che ricorda quello di Epimenide), e suona così: Se mento e ammetto di mentire, sto mentendo o dicendo la verità? Se rispondo che mento, allora la proposizione che mento è vera, e dunque sto dicendo il falso. Se rispondo che non mento, allora è falsa la proposizione che io mento, e dunque dico la verità. Sicché qualsiasi risposta va sempre bene, e ciò che affermavo ieri posso allegramente smentirlo oggi, e casco sempre in piedi, poteva asserire con disinvoltura Gioggia della Garbatella, un sobborgo di… Megara…).
Paradosso del sorite
Più concreto, e dunque più semplice e incisivo, è invece il Paradosso del sorite (cumulo di grano), che senza arzigogoli mentali ognuno può porsi con un po’ di buon senso: un chicco di grano non forma un cumulo; ma non lo formano nemmeno due chicchi, e nemmeno tre… E allora a partire da quale chicco x si può iniziare a parlare di cumulo?” E dunque, così per scherzo, a partire da quale milione si può parlare di evasione fiscale? Naturalmente questo vale per tutti quegli ambiti in cui gli uomini, per orientarsi, hanno fissato misure, regole, e parametri: che se sono a volte utili e funzionali, sono comunque arbitrari, e perciò privi di valore “scientifico”.
Rebus ontologico
Suggestivo anche il rebus ontologico di Diodoro Crono, per il quale solo ciò che si è verificato era possibile, e che una possibilità che non si è verificata era piuttosto un’impossibilità. Con la conseguenza di una sorta di fatalismo, per cui, se ciò che non accade è impossibile, tutto ciò che accade doveva necessariamente accadere… (e anche su questo Gioggia della Garbatella doveva convenire…)
Altri discepoli
Affine a quella megarica fu la scuola di Elide, fondata da Fedone (sì, proprio quello immortalato da Platone nell’omonimo dialogo), che comunque non doveva essere una cima; e quella di Eretria, fondata da Menedemo, che negava l’esistenza di proprietà generali, per concederla soltanto a oggetti singoli e concreti. Più curioso è invece il caso di Zopiro, un lombrosiano ante litteram, che ritenendo appunto di sapere ricavare dalla fisionomia degli uomini il loro carattere morale, dal volto di Socrate (notoriamente brutto, anche se come presidente del Senato sarebbe un gran figo!) sentenziò che doveva essere un vizioso: suscitando l’ilarità generale, ma non quella del rospo stesso, che ammise di esserlo stato veramente prima che la filosofia lo folgorasse…

Iscriviti per non
perdere i nostri articoli
Unisciti gratuitamente a centinaia di nostri abbonati e abbonate, e sii il primo a conoscere nuovi contenuti.

[…] L’eredità di Socrate: prima parte […]
"Mi piace""Mi piace"