Il noir come parafrasi della vita: “Il vizio della solitudine” di Montanari

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Questo articolo esce all’interno della nostre rubrica Pillole di narrativa

Montanari affronta spesso nelle sue opere temi tanto attuali quanto complessi, servendosi di storie che per la loro dinamicità risultano appassionanti e interessanti.
Ne Il vizio della solitudine, pubblicato nel 2021, il tema centrale è sicuramente l’incongruenza che si manifesta fin troppo spesso tra la legge voluta dal legislatore e il concetto di giustizia. Approfondire l’argomento implicherebbe necessariamente valutazioni di tipo politico, poiché nella nostra società non esiste un’univoca opinione sulla materia. Non si può tuttavia negare che sovente la legge si presta a interpretazioni contrastanti o viene applicata con minore o maggiore rigore, a seconda dei casi.

È dunque su questa base che si muovono i protagonisti de Il vizio della solitudine, i quali, rifuggendo dall’idea di lasciare impuniti alcuni tra i più biechi criminali che in qualche modo hanno evitato una giusta pena per i crimini commessi, si ergono essi stessi a giudici arbitrari, con l’illusione di fare giustizia. Ma, ovviamente, è lo stesso concetto di giustizia arbitraria che è inaccettabile in un paese democratico, ed è in fondo questa stessa consapevolezza che rende difficile la vita a Ennio Guarnieri, ex ispettore cinquantenne dalla vita solitaria, che si ritrova infine impigliato in una rete da cui gli riesce difficile districarsi. Il senso di colpa emerge inevitabilmente e induce l’ispettore a parlarne con un sacerdote, il quale confessa di non sapere cosa Dio pensi dei crimini degli uomini, egli sente che il suo compito è solo quello di riconciliare i peccatori con se stessi.
Siamo dunque di fronte a una storia di solitudine, la stessa solitudine che spesso affligge l’uomo contemporaneo, incapace di scelte coraggiose che aprano il suo animo al mondo esterno con disponibilità e tolleranza.

È proprio la terra grigia e melmosa che separa legge e giustizia lo spazio narrativo in cui si muovono gli interrogativi del protagonista: di fronte ad alcuni macroscopici esempi di giustizia ingiusta, sarebbe facile pensare che chi interviene faccia addirittura bene, ma se si comincia ad ammettere questo diritto, il passo successivo sarebbe accettare un tribunale segreto capace di condannare a morte, accettare la violenza estrema se accompagnata da buona coscienza, accettare l’omicidio. Interrogativi feroci ai quali anche il lettore è chiamato a rispondere.

A fare da contrappeso alla consistenza dei dubbi etici c’è la penna di Montanari, limpida, fluida e maliarda. Con il suo stile peculiare, capace di trainare con agevolezza nel cuore della storia e dei personaggi, l’autore ci guida in un cammino dalle tinte noir, dove la dimensione esistenziale però ha sempre il sopravvento rispetto a quella investigativa.

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