Ricorre oggi l’anniversario della nascita del più grande commediografo italiano: CARLO GOLDONI.

Nato a Venezia il 25 febbraio 1707 e morto a Parigi il 6 febbraio 1793, Goldoni deve la sua fama a una sterminata produzione teatrale in italiano, in dialetto veneziano e in francese (nonché a innumerevoli libretti d’opera per Galuppi, Piccinni, Paisiello, Vivaldi, Haydn, Salieri e persino Mozart) Non potendole ricordare tutte (ma fondamentali sono anche i Mémoires scritti in francese), mi limiterò a dire due parole su alcune delle sue più fortunate commedie, per dare appena un’idea della complessità e varietà della sua produzione.
Benché sia forse la sua commedia più famosa, se non la piùcomplessa La locandiera (1753) resta certo una delle più argute. La storia presenta due nobilucci che si contendono il cuore di Mirandolina tra gelosie, liti e situazioni comiche, finché lei stessa, dopo essersi divertita a prenderli per i fondelli, non rivela il suo gioco accordando la mano al cameriere Fabrizio. Nel contrasto tra i tronfi caratteri dei pretendenti e l’astuta ragazza del popolo (un po’ l’equivalente femminile del Figaro francese), trionfa l’arte muliebre, a spiegare il successo di una commedia a cui peraltro lo stesso Goldoni non sembrava accordare eccessiva importanza. In effetti La locandiera, più che annunciare nuovi valori, ne rielabora di antichi. Ma se i personaggi hanno dei precedenti in modelli francesi o inglesi, l’autore ha dotato la sua eroina di un tale torrente di brio, spudoratezza e canzonatura, da sottrarla al cliché e renderla inconfondibile.
Qualche anno dopo Goldoni sfornava un altro capolavoro, questa volta in dialetto veneziano, I Rusteghi (1760), che contiene alcune scene tra le più belle del teatro comico di ogni tempo. In esso si fondono perfettamente i due motivi fondamentali che provocano la vicenda: quello decrepito e ligio a certa tradizione nobiliare, e quello del vivace mondo femminile sensato e pettegolo, che folleggia per il carnevale, contro i barbagianni che vorrebbero ignorarlo, presagendo gli ultimi sussulti dei loro “valori”. Attraverso quattro “rusteghi”, rudi brontoloni e conservatori, Goldoni supera così la commedia di carattere per creare un nuovo clima, perché, più che insistere sui motivi propri di figure bizzarre, o sul chiacchiericcio femminile, fa cozzare l’atmosfera greve di una tradizione ritualizzata e impotente con l’apparentemente sottomesso ma inquieto dinamismo femminile, fatto di estro e sussurri ribelli. Nel 2011, traducendola devotamente in italiano, e spalmando i nomi dei personaggi sui cognomi degli attori, la misi in scena con i miei studenti liceali, con colonna sonora vivaldiana, e ne venne fuori una cosuccia molto carina…)
Scritta in francese, Le bourru bienfaisant (Il burbero benefico, 1771) rientra nella formula tipica della pittura di carattere, in cui una situazione elementare si complica attorno all’estrosità del personaggio principale, causa diretta o indiretta delle varie peripezie. Il fatto che fosse composta in francese, e rappresentata per la prima volta a Parigi, suggerisce un facile richiamo a qualche precedente molieriano. Una curiosità è che Rousseau, credendo di riconoscersi in Geronte, si adirò col Goldoni, sicché il Baretti, che pure per lui non nutriva eccessiva simpatia, si sentì chiamato a difenderlo per spirito campanilistico. Ma che l’operazione letteraria fosse riuscita lo prova il fatto che la commedia fu presto tradotta in ben 19 lingue.
