Alcibiade di Platone: il sapere che manca ai potenti

Briciola di filosofia #37

4–5 minuti

Un giovane viziato e ambizioso

Ma chi era questo signore, che ebbe con Socrate così stretti rapporti da giustificare l’accusa di corrompere i giovani? Essa, infatti, più che alle loro presunte pratiche omoerotiche, poggiava sull’evidenza che proprio dal suo insegnamento deleterio erano emerse personalità discutibili come Crizia e appunto Alcibiade, e che a sentire Senofonte fu la vera causa scatenante del famoso processo. Certo è che durante la guerra del Peloponneso questo individuo mutò più volte casacca: e inizialmente fautore di un’aggressiva politica estera, allorché fu accusato di sacrilegio per la mutilazione delle erme (teste scolpite su pilastrini quadrangolari su cui a volte erano rappresentati anche i genitali maschili), passò dalla parte di Sparta, giocando un ruolo determinante nella sconfitta di Atene. Espulso quindi anche da Sparta riparò in Persia, prima di essere richiamato nuovamente in patria. Proprio per questa disinvoltura di posizionamento le valutazioni degli antichi oscillarono dall’opportunista allo statista per l’uomo che, malgrado le enormi qualità, non aveva saputo dissimulare col fascino la disposizione demagogica di un traditore senza scrupoli.

L’Alcibiade primo

A questo influente soggetto Platone non solo riservò un ruolo significativo nel Simposio e lo ricordò nel Protagora e nel Gorgia, ma, pur convinto che il suo tradimento non derivava dall’insegnamento di Socrate quanto piuttosto dal fatto di averlo abbandonato, lo rese protagonista di due dialoghi giovanili. Tralasciando tuttavia l’Alcibiade secondo, di attribuzione spuria e poco originale, a interessarci qui è soprattutto l’Alcibiade primo, in cui lo scorgiamo giovane e bello, ricco e di nobile famiglia, mentre si dispone all’ingresso in politica. Ancora inesperto, con un’arrendevolezza ben lontana dalla determinazione futura ma con brama di onori nella pretesa di consigliare i concittadini su questioni gravi come la guerra, si rivolge a Socrate per chiedere lumi. Subito suscitandone però la riserva che, se il solo campo su cui si possa dare consigli è quello in cui si è sapienti, mai Alcibiade, che non ha imparato altro che il flauto, potrebbe dare lezioni di strategia politica e militare. Che può mai saperne lui se una guerra è giusta o opportuna? E come potrebbe essere buon consigliere chi non possiede le doverose nozioni del giusto o del meglio su cui si fonda la vita associata? O chi mai gliele avrebbe insegnate?  

Il criterio della maggioranza

In un primo momento Alcibiade si barcamena, dichiarando di averle apprese da solo. Ma ancora rintuzzato da Socrate che può cercare la verità solo chi sa di non sapere, contrariamente a lui che fin da bambino ha sempre spacciato sicumera, il giovane riconosce di essersene fatto un’idea, come tutti, dall’opinione della maggioranza. Dando a Socrate l’agio di contestare che in una questione cruciale come la giustizia non ci si può affidare agli sproloqui della massa, la cui pluralità non fa che confermarne appunto l’approssimazione. E siccome quando deliberano sui massimi affari gli uomini pensano in termini di utilità e di danno, senza riflettere che l’utile non si può perseguire senza il giusto, pur costretto a riconoscere i suoi errori nella presunzione di sapere cose che invece ignora, Alcibiade considera che se così è significa che gli altri sono ignoranti quanto lui, e dunque potrà prevalere se non altro contando sulle sue doti naturali.

Ignoranza dei governanti


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