Briciola di filosofia #38
Amore e amicizia
Benché non particolarmente noto, il Liside è l’unico dialogo di Platone che in maniera non implicita, ma attraverso un’indagine insistita, cerca di determinare che cosa si debba intendere per amicizia, e chi possa essere considerato un amico. Il dialogo inizia con Socrate invitato da un gruppo di giovani ad accompagnarli alla palestra per discutere in tranquillità. Nell’apprendere che uno di loro decanta in continuazione il giovane Liside di cui vorrebbe ottenere i favori, subito lo bacchetta che non è bene lodare qualcuno prima di averlo conquistato, se non si vuole correre il rischio di insuperbirlo e renderlo ancora più ostile. Ma comunque curioso di conoscere il ragazzo tanto osannato, accetta l’invito di recarsi al ginnasio, dove l’eccezionale bellezza di Liside gli si manifesta immediatamente nell’asserragliamento di tutti. E quale che sia il loro interesse, confessando di non aver ancora capito da cosa sorga l’amicizia, ne chiede lumi a Menesseno che, in quanto intimo di Liside, sembra appunto saperlo. E alla sua affermazione che chi ama è a sua volta riamato, facilmente gli oppone la casistica di innamorati non corrisposti o addirittura ricambiati con odio e disprezzo, giungendo al paradosso che si può essere amico di un nemico o nemico di un amico.

Simile e dissimile
Per superarlo, e citando Omero per cui “il dio guida sempre il simile verso il simile”, Socrate assume per ipotesi che i giusti non sono amici degli ingiusti, e chi subisce ingiustizia non ama chi la compie. Solo che, si chiede, che vantaggio può mai trarre un individuo da chi possiede le medesime qualità? Un uomo probo può bastare a se stesso, senza l’amicizia di un altro come lui. A meno che invece non abbia ragione Esiodo nel dire che si è ostili ai simili, di cui si teme la concorrenza e l’invidia, mentre si persegue l’amicizia di un diverso da cui ci si aspetta qualcosa: come del resto accade in natura, dove il secco cerca l’umido, il freddo il caldo, il vuoto il pieno, e così via. Se non fosse che però in questo caso si ritorna alla soluzione già scartata che il giusto è amico dell’ingiusto, i simili si evitano, e il contrario elegge il contrario.
Una via intermedia
A conciliare questi estremi paradossali si potrebbe forse percorrere la via intermedia, per cui l’aspirante amico non è in sé né buono né cattivo, e che se possedesse già il bene non desidererebbe conquistarlo: tant’è vero che una persona sana non cerca il medico, come invece fa chi ha un male che non può eliminare da solo. Ma neanche questa ipotesi convince Socrate: visto che, se il malato è amico del medico a causa della malattia, la ragione sta nel suo male, senza cui non ricercherebbe il bene. Col che si ritorna ad affermare l’amicizia tra il giusto e l’ingiusto, e viceversa. Come se ne esce, allora? Ma proprio mentre Socrate abbozza una disamina tra “affine” e “simile”, la discussione viene interrotta e il dialogo si chiude in maniera aporetica. E siccome non la riprenderà più se non incidentalmente in altri dialoghi, lasciando la questione aperta Platone passa il testimone ai successori, ai quali si può fare qui giusto un accenno…
L’amicizia nei secoli…
Così, quella ϕιλία (filía) che già Empedocle poneva a principio dell’unità armonica degli elementi del cosmo, per Aristotele o Epicuro, di cui basti per ora dire solo questo, resta un bisogno irrinunciabile ed essenziale. E se Cicerone, nel suo celebre De Amicitia, la individua nella sodalitas fra persone accomunate da un medesimo scopo e da un rapporto di fiducia reciproca, nel Medioevo essa interseca la fede, come impegno anche religioso. Nel periodo rinascimentale Marsilio Ficino, nel suo commento al Simposio, la intende come condivisione ideale e spirituale venata di omoerotismo. Più tardi, Vauvenargues sentenzia che
“è l’insufficienza del nostro essere a far nascere l’amicizia, ed è la sua stessa insufficienza a farla perire quando nessuno sa rinunciare all’amor proprio”
E se Rousseau, da specialista in dissapori, vi scorge ovviamente il germe del tradimento, il più sfumato Kant distingue tra “amici che vi amano, quelli che vi ignorano, e quelli che vi odiano”. Schopenhauer, dall’alto della sua ben nota misantropia, non può che ritenere l’amicizia una pura illusione con cui l’uomo maschera la devastazione irrazionale della Wille (volontà), accogliendola solo come reciproca solidarietà nella medesima sventura. Al netto delle qualità intellettuali o morali, Croce ritiene che “all’amico che si presume sincero si dà ciò che egli è pronto a dare a noi”, mentre Bauman rileva che in un mondo liquido e privo di stabilità gli impegnativi rapporti interpersonali sono sostituiti dalle connessioni del web, dove è più semplice connettere e disconnettere. E poi arriva Foucault, che recidendo la questione alla base, definisce l’amicizia come “relazione ancora senza forma, da inventare dalla A alla Z.” Ed eccovi serviti!
Ah, ché se poi dal piano interpersonale ci spostiamo su quello sociale, da tenere a mente la lucida convinzione di Benjamin Disraeli, che applicandola alle relazioni fra stati o popoli legati da affinità di interessi, già due secoli fa avvertiva che le nazioni non hanno né amici stabili e nemmeno nemici stabili, ma solo interessi permanenti… E provate a dargli torto…

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