
È vero, l’altro giorno le ho detto che, considerando la mia situazione di transfuga di classe, il migliore atto politico che potessi fare era scrivere. Ma con questo non intendevo che i miei libri rappresentano la forma assunta dal mio impegno, né che lo sostituiscono. Scrivere è, a mio avviso, un’attività politica, ossia qualcosa che può contribuire al disvelamento e al cambiamento del mondo, oppure, al contrario, rafforzare l’ordine sociale e morale esistente. Mi ha sempre colpita la persistenza, tanto tra gli scrittori e i critici quanto tra il pubblico, di questa convinzione: la letteratura non ha nulla a che fare con la politica, è un’attività puramente estetica che mette in gioco l’immaginario dello scrittore, il quale – attraverso quale miracolo, quale grazia? – sfuggirebbe a ogni determinazione sociale, mentre il suo vicino di pianerottolo rimarrebbe comunque classificabile nella classe media, o superiore che sia.
Annie Ernaux, La scrittura come un coltello
