
Il mio anno di riposo e oblio è un romanzo della scrittrice statunitense Ottessa Moshfegh. Pubblicato negli Stati Uniti nel 2018 e uscito in Italia nel 2019, racconta la storia di una ricca giovane newyorkese, colta e bella, per la quale si prova subito, a primo acchito, comprensione ed empatia. Invidiata e desiderata, dall’esterno la si potrebbe considerare una ragazza fortunata, padrona della sua vita e del suo futuro.
Ma le cose stanno diversamente da ciò che sembra, dato che in poco tempo la donna si è ritrovata orfana di entrambi i genitori, con i quali non è riuscita a migliorare il suo rapporto. I suoi soldi non la rendono felice, pian piano perde vitalità e interesse verso il mondo circostante e comincia a fuggire dagli altri e da se stessa. Non riuscendo più a sostenere il peso di questa muta sofferenza, decide di abbandonarsi al sonno, affidandosi ad una psichiatra la cui competenza professionale appare subito molto discutibile. Tuttavia alla ragazza importa soltanto la prescrizione di farmaci che la intontiscono; infatti, viene stordita a tal punto da crollare in uno stato quasi comatoso, per poi non ricordare più nulla al risveglio. Problema, questo, molto attuale dato che l’abuso di psicofarmaci assegnati da ricette facili è ormai fuori controllo.
In una società che esige produttività a tutti i costi e l’accettazione bieca del ritmo della contemporaneità, la sovversione consiste nell’impedire che ciò accada. La protagonista prende le distanze dal mondo, da una New York schiava dei suoi stessi vezzi e metafora della società contemporanea, dove regna il trionfo dell’apparenza e dell’individualismo sfrenato. Sono queste le dinamiche che dominano nella nostra epoca. E’ tutto reale.
Lo stile narrativo di Moshfegh è equilibrato ma non rende il romanzo un capolavoro. Il racconto scorre alternando flashback sull’infanzia e sull’adolescenza della protagonista e tutta la vicenda è immersa in una atmosfera surreale, compresi i personaggi che vi sono coinvolti: la “migliore amica”, l’ex fidanzato e appunto la dottoressa.
Quando la giovane dopo un anno si ridesta dal sonno-ibernazione, si rende conto però che la sua assenza non ha modificato il mondo e che la vita ha proseguito indisturbata anche senza di lei. Scappare può essere un’esigenza in determinate circostanze ma non è una soluzione, non è una cura. Lasciarsi vivere è più facile che vivere perché solleva dalla responsabilità che la vita in sé comporta, seppur talvolta dolorosa. Ma come ci mostra Moshfegh, il gioco vero comincia soltanto quando si riaprono gli occhi e, per quanto fragili e vulnerabili, si è costretti ad affrontare la realtà con tutte le sue contraddizioni.

