Il fine ultimo della scrittura per Annie Ernaux

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Non ho il desiderio di portare alla luce le zone d’ombra della mia vita né di ricordare tutto ciò che mi è accaduto. Il mio passato, di per sé, non mi interessa particolarmente. Non mi considero affatto un essere unico, nel senso di assolutamente singolare; piuttosto penso a me stessa come una somma di esperienze, di determinazioni sociali, storiche, sessuali, di linguaggi, continuamente in dialogo con il mondo (passato e presente). Poi, certo, tutto ciò va inevitabilmente a formare una soggettività unica, questo sì. Ma utilizzo la mia soggettività per individuare, per svelare, meccanismi o fenomeni più generali, collettivi. Anche se in verità questa stessa formulazione non mi soddisfa a pieno. A volte mi è piaciuto dire: «Vivo le cose come chiunque, in modo particolare, ma desidero scriverle in modo universale». Forse è alla fine de L’evento che ho espresso meglio questo concetto, dicendo che vorrei che tutta la mia vita diventasse qualcosa di intelligibile e di generale, che si dissolvesse completamente nella testa e nella vita delle persone. C’è una frase di Brecht che ha molto significato per me: «Pensava negli altri e gli altri pensavano in lui». In fondo, il fine ultimo della scrittura, l’ideale a cui aspiro, è pensare e sentire negli altri, come altri – scrittori, ma non soltanto – hanno pensato e sentito in me.

Annie Ernaux, La scrittura come un coltello

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