
Quanto andava cercando era l’eterogeneo e indipendente da raggiungersi però in fretta, e così prese soggiorno in un’isola dell’Adriatico, da alcuni anni di moda, situata non lontano dalla costa istriana, con popolazione cenciosa e variopinta e dalla parlata con suoni del tutto sconosciuti, e con scogliere belle e frastagliate là dove il mare si apriva. Solo la pioggia e l’atmosfera pesante, una comitiva composta di borghesucci austriaci, e la mancanza di quel rapporto intimo e tranquillo con il mare, garantito esclusivamente da una spiaggia soffice e sabbiosa, lo irritavano, non facendogli sentire la sensazione d’aver scelto il luogo adatto ai suoi scopi; un impulso dell’animo lo spingeva, lui stesso non sapeva dove, rendendolo irrequieto, facendogli consultare le partenze delle navi, guardare attorno cercando, e d’un tratto ebbe davanti agli occhi la meta, sorprendente e nel medesimo tempo implicita. Desiderando in una notte raggiungere l’incomparabile, il dissimile favoloso, dove si doveva andare? Ma era chiaro. Che ci stava a fare li? S’era smarrito. Avrebbe dovuto recarsi là. Non esitò a disdire quel soggiorno sbagliato. Una settimana e mezzo dopo il suo arrivo nell’isola, un veloce motoscafo lo riportò, con tutto il bagaglio, tra la foschia mattutina sull’acqua, nel porto militare, dove scese a terra per subito, percorrendo uno scalandrone, metter piede sulla coperta umida d’una nave, già sotto pressione, pronta a salpare per Venezia.
Thomas Mann, La morte a Venezia (Incipit)

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