Aiuto, Poirot!: riflessioni e conferme

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Da qualche anno sto leggendo in ordine cronologico tutti i romanzi della saga di Hercule Poirot creata da Agatha Christie. Dopo Poirot a Styles Court, il primo romanzo dell’autrice, oggi vorrei parlarvi del secondo in cui appare il celebre detective belga: Aiuto, Poirot! (titolo originale: Murder on the Links). Siamo negli anni ’20 e Agatha Christie sta ancora costruendo la sua cifra narrativa. La sua penna non ha raggiunto la piena maturità e siamo ancora lontani dalle opere degli anni ’30, ’40 e ’50 che la renderanno celebre presso il grande pubblico, ma questo non rende meno affascinante scoprire l’origine del personaggio di Hercule Poirot.

Aiuto, Poirot! esce in versione integrale nel 1923, dopo essere apparso a puntate l’anno precedente. Anche l’opera successiva seguirà lo stesso percorso editoriale. Per Christie sono anni intensi, che coincidono con la nascita della cosiddetta golden age della detective story, la cui massima espressione verrà raggiunta nel periodo tra le due guerre. Tra i suoi maestri spicca Conan Doyle, padre di Sherlock Holmes, la cui influenza nella costruzione del personaggio di Hercule Poirot è innegabile

Per quanto complicata e intricata, la trama non è l’aspetto più interessante del romanzo, il cui scopo è prima di tutto quello di consegnare Poirot definitivamente al canone della letteratura giallistica. È tra queste pagine infatti che si plasma il “metodo Poirot” attraverso un processo di contrasto: un altro personaggio entra in scena per incarnare ciò che Poirot non è, evidenziando così le sue caratteristiche e le sue idiosincrasie.

Come il primo romanzo, anche questo è narrato da Hastings, che continua a svolgere un ruolo di mediazione tra il protagonista e il lettore, pur non distinguendosi per acutezza o prontezza di riflessi. Questa caratterizzazione gli è valsa il soprannome affibbiato da alcuni critici di “il più stupido dei Watson”, vedendo nella sua presenza la reminiscenza della coppia investigativa di Arthur Conan Doyle.

Hastings non si limita a narrare la vicenda, ma ne è partecipe e in parte motore. Aiuto, Poirot! inizia infatti seguendo un suo viaggio in treno di ritorno a Londra, durante il quale incontra una giovane donna del mondo circense. Non ne è subito ammaliato: troppo mascolina, indipendente e spigliata. L’acrobata però è avvolta da un’aurea misteriosa, tanto che si rifiuta addirittura di rivelare il proprio nome ed è questo che intriga hastings, riempiendolo di curiosità mista a tenerezza. Per conservarne il ricordo, l’appellerà “Cinderella” convinto che, una volta terminato il tragitto, non la rivedrà mai più. Ma le loro strade si incrociano ancora, del resto l’innamoramento di Hastings è uno stratagemma di complicazione della trama che Christie aveva già utilizzato. Qui i suoi effetti sono dirompenti: a causa del coinvolgimento dell’amico, l’indagine di Poirot rallenta fino a deragliare. Ciò accade per intrecci di fatalità, per debolezze romantiche, e perché Hastings, dubitando dell’innocenza dell’amata, tenta attivamente di depistare Poirot.

L’indagine ha origine da una lettera che Poirot riceve da un certo Paul Renauld, ricco francese che ne richiede l’assistenza poiché convinto che qualcuno voglia ucciderlo. Prega così Poirot di raggiungerlo nella località turistica di Merlinville-sur-Mer, sicuro di non avere molto tempo. Poirot si mette immediatamente in viaggio per sventare l’omicidio.

Questa è solo una delle tante occasioni in cui Christie sposta l’azione narrativa fuori dall’Inghilterra. Del resto, tra i colleghi del genere giallo, è stata certamente la più sperimentatrice in fatto di ambientazioni. In Francia sarebbe tornata nel 1928 con Il mistero del treno azzurro, ma l’ambientazione più esotica rimane l’Africa del Sud immortalata in L’uomo vestito di marrone del 1929.

Ma perché proprio la Francia? Le ragioni sono almeno due. Da un lato, il caso di cronaca a cui Christie si è ispirata per Aiuto, Poirot! era accaduto quindici anni prima proprio su territorio francese. Una certa Marguerite Steinheil era stata trovata legata e imbavagliata, accusata di aver usato questo stratagemma per uccidere marito e cognata. Al processo si era difesa sostenendo che due uomini fossero entrati in casa, bloccando lei e uccidendo gli altri per trovare dei documenti. Non diverse sono le premesse del romanzo: Poirot arriva infatti in Francia solo per scoprire che Paul Renauld è già morto. Il cadavere è stato trovato in un campo da golf in costruzione vicino alla villa, riverso in una specie di tomba appena scavata. La moglie, trovata legata al proprio letto, racconta di due uomini che hanno rapito il marito prima che lei perdesse i sensi.

Appena giunto sulla scena del crimine, Poirot nota subito una serie di dettagli sospetti. La moglie di Paul Renauld era stata trovata legata al letto, proprio come nel fatto di cronaca reale. La cosa strana è che la donna inizialmente pensava che il marito fosse stato rapito, non che fosse morte. Inoltre, l’uomo aveva da poco cambiato testamento. Parallelamente viene interrogata una certa signora Daubreuil, arrogante, sfuggevole e piena di risentimento. Dall’interrogatorio emergono due elementi interessanti: sul suo conto corrente era stata depositata una somma cospicua; inoltre la figlia Marthe pare coltivasse una storia d’amore con il figlio di Renauld, a favore del quale sarebbe stato il testamento originario, prima che il padre lo modificasse. È proprio Marthe Daubreuil la prima persona che Hastings e Poirot incontrano lungo la strada verso la villa. Se Hastings ammira sorpreso la sua bellezza, Poirot si sofferma su un dettaglio rivelatore: l’ansia che trasuda dal suo sguardo. Il protagonista riesce ad andare oltre le apparenze, prima ancora di sapere che il suo cliente è morto.

L’indagine di Poirot viene rallentata da un elemento di disturbo che si rivela però fondamentale per consegnare definitivamente la figura di Poirot alla storia della letteratura del crimine: la presenza di un antagonista. Si tratta del detective della Sûreté di Parigi, Giraud, ufficialmente incaricato delle indagini. È grazie alla sua presenza che si attua quel meccanismo di opposizione che fa emergere la vera natura del carattere di Poirot e il metodo che gli permette di indagare non solo i delitti, ma l’animo di chi li ha commessi.

La dicotomia tra il metodo di Giraud e quello di Poirot è totale e costituisce il filo rosso di tutto il romanzo. Fin dalle prime battute, Giraud appare come un detective arrogante, conosciutissimo in patria e spavaldo. Ha un pensiero veloce, formula ipotesi con superficiale celerità e propende subito per la soluzione più banale: il delitto passionale. Giraud si fida ciecamente delle prove materiali – impronte digitali, mozziconi, calchi delle ferite – ma solo di quelle che gli fanno comodo per portare avanti la sua teoria. Ed è questa una delle differenze più importanti che lo contraddistinguono da Poirot, il cui metodo non consiste tanto nel raccogliere indizi fisici, quanto nel mettere insieme i fatti, vagliare possibili scenari, analizzare la psicologia dei possibili colpevoli. Il lavoro di Poirot avviene nella mente, dove pullulano le ipotesi, e i fatti non devono mai essere al servizio di queste ultime: se un particolare, anche minimo, non può essere spiegato, è inutile ignorarlo. Meglio ricorrere a una spiegazione che possa includerlo. Così una sbarra di metallo che Giraud scarta come prova irrilevante si rivelerà fondamentale per risolvere il caso.

L’animosità tra i due detective emerge subito e diviene una vera competizione. A un certo punto Poirot scommetterà addirittura con Giraud di essere in grado di risolvere il caso prima di lui. Tra i due si instaura una gara che inizialmente Hastings guarda con tensione, temendo che il proprio maestro possa venire umiliato. Hastings prova infatti un momento di vergogna nel vedere Poirot interessarsi a dettagli apparentemente inutili e fare domande che sembrano sconclusionate, mentre Giraud sembra sul punto di risolvere il caso

È interessante notare come la distinzione tra le due figure di detective è raccontata plasticamenrte: Giraud è il classico personaggio iperattivo, si agita, cerca, corre, vuole spostarsi continuamente. Poirot al contrario è più posato, più elegante, padrone di sé e della propria mente, rigorosa e tagliente.

Senza rivelare troppo, Poirot riesce ovviamente a risolvere il caso, andando oltre l’apparenza e riflettendo sulla psicologia dei personaggi. Tra questi, le figure femminili giocano un ruolo fondamentale. Siamo nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale e Christie porta avanti, come già nel romanzo precedente, un discorso su come il conflitto abbia cambiato la figura della donna. Lo fa attraverso Marthe, la moglie di Renauld e “Cinderella”, che alla fine ha un ruolo centrale nella risoluzione della vicenda.

Agatha Christie si dimostra molto scaltra nella scelta dei suoi assassini. L’assassina, in questo caso, è una donna – non dirò chi – e quello che emerge è che nessuno aveva sospettato di lei perché troppo bella, troppo giovane. Christie non ha remore a scegliere una donna affascinante come assassina, né a optare, anche in altri romanzi, per personaggi attraenti e simpatici come killer. In questo, rispetto ai suoi contemporanei, è molto più sperimentale. Il tema della figura femminile emerge anche attraverso il comportamento di Hastings, che all’inizio guarda con diffidenza “Cinderella” perché troppo indipendente. A un certo punto lei gli dirà: “Cosa credi, che io sia una di quelle donnette che sale sul tavolo perché vede un topo?”. C’è sicuramente un discorso su una decostruzione e ricostruzione della figura femminile che, dopo la Prima Guerra Mondiale, era in atto nella società inglese e francese.

Il libro si chiude con tutte le fila che vengono riannodate. E poi c’è la partenza di Hastings, che si innamora di “Cinderella” – il cui vero nome scopriamo essere Dulcie -, e si sposa con lei per poi partire alla volta dell’Argentina. Lo rivedremo soltanto in “Peril at End House”. Probabilmente a questo punto Hastings aveva assolto il suo compito: è stato nei primi due romanzi un tramite tra il lettore e Poirot, un compagno un po’ stupido ma utile per spiegare come le cose stavano procedendo e per fare da contrappunto nella caratterizzazione di Poirot. Il romanzo è concluso, Poirot dopo questo libro è un personaggio completo, ben delineato, con una sua fisionomia precisa. Hastings può uscire di scena. Il libro si legge molto bene nonostante la trama complessa, è chiaro e avvicente. I battibecchi tra Giraud e Poirot e i siparietti con Hastings creano un tono che dal drammatico sfuma talvolta nel comico, e ciò risulta molto piacevole per il lettore.

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