Maldamore primordiale: cronache dall’Eden

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Le origini dell’interdizione – Da dove incominciare se non da loro, i primi amanti a conoscere l’interdizione nella sua forma radicale del divieto metafisico narrato nella Genesi? Non starò qui a sottolineare le incongruenze, e nemmeno rievocherò il “doppio tentativo” che mi ha ispirato un racconto de L’ora della mezzanotte, anche se non è notizia troppo peregrina che Adamo, prima di Eva, ebbe per compagna Lilith, poi trasformata in un essere diabolico. Suppongo che la spiegazione vada cercata nelle due diverse versioni che ci sono giunte: quella jahvista, redatta a Gerusalemme verso il X secolo a.C; e quella di un documento sacerdotalecomposto durante l’esilio babilonese verso la fine del VI secolo a.C. Senza nemmeno lontanamente sfiorare la dotta e secolare querelle sulle divergenze, che ha impegnato schiere di eruditi analisti, resta che la vulgata più diffusa vede i nostri progenitori accumunati da un destino di delizia prima e di supplizio poi


Mannaggia Darwin – Fino a pochi decenni fa (ma in qualche “illuminata” comunità ancora adesso…) si ripeteva con la Bibbia che la comparsa dell’uomo sarebbe avvenuta intorno a 4000 a.C., finché nel 1943, dopo tutto quanto da Darwin in poi era emerso sull’evoluzione, la Chiesa aveva finalmente dovuto ammettere, obtorto collo, che quella data andava rivista, lasciando però il racconto inalterato.

La ricetta sbagliata della creazione – Come che sia, nella prima di quelle versioni si legge che Dio, dopo il cielo, la terra, i mari, le piante e gli animali, volle creare qualcosa “a sua immagine e somiglianza”; ma forse sbagliando ricetta modellò l’uomo dalla polvere, gli soffiò nelle narici l’alito della vita, e lo pose quindi nel giardino dell’Eden.

L’ uguaglianza tradita – Ma che fosse incontentabile per natura, o che lo stimolo erotico fosse già pronunciato, insoddisfatto della sola presenza delle bestie, il nuovo venuto bramò a sua volta qualcosa di simile a sé. E allora Dio pazientemente lo immerse in un sonno profondo, ed estrattane una costola formò la donna: gettando fin da subito i termini di una disuguaglianza mai più recuperata. Di cui dovettero forse rendersi conto già gli autori del posteriore documento sacerdotale, allorché, senza pertanto migliorare le cose, rettificarono che Dio fin dall’inizio “maschio e femmina li creò”: insomma un ermafrodito! Con esito ancora più imbarazzante per i pruriginosi officianti del culto: che, portati a riflettere sugli aspetti tecnici della perpetuazione della specie, preferirono la versione “costale”: e alla malora il dettaglio per cui, essendo la donna un frammento dell’uomo, se ne ribadiva per i saecula saeculorum la naturale subordinazione!

I giorni dell’innocenza – Ma insomma, almeno erano in due a sbizzarrirsi birichini, ingenui e puri, idealisti e immacolati, nel lussureggiante giardino, avendo a disposizione tutto ciò di cui avevano bisogno. E che giorni erano quelli, quando ancora ignoravano che sulla loro asessuata felicità gravava una fosca minaccia; quando ancora non sospettavano che il loro amore, per trovare posto in questa rubrica di storie sfigate, doveva passare attraverso le forche caudine dell’interdizione. Loro che, paghi delle folli rincorse, di rotolarsi sull’erba a suggere i raggi del mattino e del tramonto, sguazzavano nella limpidezza dei ruscelli, o si alimentavano direttamente alle mammelle caprine, senza mai interrogarsi sul fatto che tra le miriadi di frutti fosse proibito solo quello “del bene e del male”, di cui ignoravano il significato, e di cui peraltro se ne fregavano abbondantemente. In fondo erano innamorati nello stadio dello sballo aurorale, che si spera non passi mai: se non fosse che le storie a lieto fine non “tirano” in letteratura, e nemmeno nei testi religiosi, quasi che la gioia si debba necessariamente scontare. E così, dopo i sollazzi dell’esaltazione iniziale, ecco intervenire la disfunzione necessaria a sollevare un’inconsapevole beatitudine al rango di vicenda drammatica. 

Il mentore strisciante – Da bamboccioni viziati che erano, Adamo ed Eva avevano fin là avuto tutto senza meritare niente; e sarebbero rimasti eterni fanciulli teneri e sciocchini, se allo svezzamento non avesse provveduto un mentore d’eccezione. Che un bel giorno (per volontà propria o su incarico non sappiamo) si presentò a Eva sotto le sembianze di un serpente, per invitarla a gustare il frutto proibito. Lungi da me l’idea di insistere sul fin troppo facile simbolismo fallico: fatto sta che quella sciagurata, dopo aver smorfieggiato sulla faccenda del divieto (ma a cosa servono essi mai se non ad essere infranti?), persuasa dal seduttore che la degustazione avrebbe apportato benefici, cedette. E trovando il frutto peccaminosamente delizioso, e vogliosa di parteciparne la delizia al compagno, corse a offrirlo ad Adamo. Il quale, prima le fece una ramanzina coi fiocchi; ma poi, com’è come non è, morse anche lui, prendendo improvvisamente atto della loro nudità (lei, però, doveva essersene accorta un tantinetto prima…). E sotto il rimorso di un’esperienza piacevole, scapparono a nascondersi, fors’anche per gustare gli inebrianti effetti del frutto testé scoperto (a pensar male si fa peccato, con quel che segue…).

Il tribunale divino – Come che sia, la loro era però un’infrazione: e, soprattutto se goduriosa, la sanzione non poteva mancare. Già, poiché messo immediatamente al corrente dalle microspie disseminate in giardino, il Dio garante della legge convocò il pupillo a rendere contro del fatto. E Adamo, da gentiluomo qual è, che fa? Pensa solo a pararsi il culo, alla faccia della solidarietà e dell’uguaglianza, scaricando la responsabilità su quella scema di Eva! Al che, la povera donna non può far altro che riscaricarla a sua volta sul mefistofelico seduttore. Ha detto la verità, certo, forse anche un po’ stupefatta che quel Dio dai cento occhi non abbia impedito (e forse persino autorizzato…) l’attacco del viscido: ma in un mondo perfetto non ci sono scuse che tengano. L’infrazione è infrazione, la legge è stata violata, e non c’è altro tribunale oltre la sentenza inappellabile del Giudice, che detto fatto scaraventa i reprobi fuori dall’Eden, a cavarsela da soli nella waste land.

Il maldamore eterno – Ma allora, per rientrare nei parametri di questa rubrica, dov’è l’amore proibito, visto che i due restano insieme? Dov’è la separazione o l’interruzione del colloquio? Non c’è, è vero. La coppia non “scoppia”. Ma a chi verrebbe mai in mente di concludere che “vissero felici e contenti”, con lui condannato a spaccarsi la schiena e a sputare sudore, e lei a generareconiglietti e provvedere al riposo del contadino? Che se poi davvero vissero 903 anni, come ci informa con biblica iperbole la Genesi, ma ve la immaginate la pacchia di essere sbalestrati dal poetico fru-fru dei sensi alle prosaiche e sfibranti gravidanze, i cui primi frutti saranno un fratricidio e l’incesto? 

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