Arianna e Teseo: il filo che lega e si scioglie

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Nelle puntate precedenti…

Già sappiamo che dall’accoppiamento di Pasifae col toro era nato un essere ibrido, il Minotauro. Terrificato dal mostro che la sposa aveva generato, Minosse non ebbe altra preoccupazione che nascondere agli occhi del popolo l’oggetto del suo infortunio. E chiese a Dedalo (che un così bel servizio aveva reso alla moglie con la costruzione della falsa vacca in cui lei era scivolata per gli amplessi con un toro vero) di spremere le meningi per costruire un palazzo le cui sale fossero così inestricabili, che se qualcuno vi si fosse avventurato non sarebbe più stato capace di uscirne. E Dedalo l’accontentò, ideando il famoso labirinto, che oltre ad essere una cavità dell’orecchio è diventato sinonimo di smarrimento, intreccio, imbroglio e rompicapo…

In questo spazio segreto fu dunque relegato il Minotauro, che, se non usciva mai di casa, era in compenso un gran ghiottone, con uno spiccato gusto cannibalesco. Per cui, avendo Minosse vinto la guerra contro Atene, ogni anno reclamava per la sua ingorda creatura sette fanciulli e fanciulle. Tra i giovani destinati al sacrificio si offrì però un giorno Teseo, figlio del re Egeo, col proposito di porre fine alla mattanza. Ma anche ammesso che fosse riuscito a sgozzare il goloso, chissà come poi se la sarebbe cavata nel groviglio di stanze, senza l’astuto soccorso della principessa Arianna, nata, lei sì, dal regolare accoppiamento di Pasifae col coniuge. La quale, manco a dirlo, innamoratasi dell’ardito eroe, decise di aiutarlo, a patto che, se fosse sopravvissuto, l’avrebbe condotta via con sé. E allora lo fornì di un gomitolo di filo che Teseo avrebbe dovuto srotolare all’ingresso del labirinto per poi ritrovare la via del ritorno. Cosa che Teseo fece senza troppi complimenti, trovando poi l’uscita per sé e per le vittime designate. Quindi, non avendo mamma Pasifae e papà Minosse per ragioni diverse apprezzato l’impresa, Arianna fuggì da Creta con lui, e vissero… Ma no, neanche per sogno! Giacché, per farsi inserire in questa rubrica di amori storti, qualcosa doveva andare di traverso. E infatti, durante una sosta nell’isola di Nasso, quel fetente e irriconoscente di Teseo la mollò mentre lei sonnecchiava.

Ma perché poi? E cosa ne fu di loro, una volta spezzato il refe amoroso? Dalla tradizione, in proposito, ci sono giunte versioni diverse, ma tutte d’accordo sulla separazione. La prima, da Plutarco, narra che Teseo abbandona Arianna mentre dorme, e salpa da solo. E quando lei si sveglia lo maledice e piange tante amare lacrime che Dioniso, per confortarla, la trasforma nella costellazione della Corona Boreale. Sarà pure una bella consolazione, ma la storia d’amore è comunque finita a schifìo. Una versione alternativa, però, riporta che Teseo fu costretto a smammare da Dioniso stesso, che aveva messo gli occhi addosso alla pulzella, e la voleva per sé. Una specie di don Rodrigo, insomma, per il quale quel matrimonio non s’aveva da fare… E davanti a un sì alto divieto, che può fare il povero Teseo se non ritirarsi a casa con la coda tra le gambe, e tanto distrutto da dimenticare di sostituire le vele nere della nave con quelle bianche, come aveva promesso al padre per segnalare il successo sul Minotauro? Sicché quando Egeo dal promontorio di Capo Sunio scorge l’imbarcazione velata di nero, credendo che il figlio sia morto si getta in quel mare che da allora porta il suo nome. Ma che sia l’impedimento interno del disamore, o quello esterno del dio (o anche, come si trova in altre fonti, la fringuellagine di un Teseo farfallone), fatto sta che l’unione si spezza…

Quanto alle fonti, se Plutarco, Apollodoro e Igino mettono l’accento sull’intervento divino, escludendo la responsabilità morale di Teseo, a buttarla più sul drammatico è naturalmente Ovidio: che nelle solite Heroides (di cui abbiamo già detto a proposito di Saffo) enfatizzando il dolore e il tradimento presenta Arianna vittima di un Teseo mordi e fuggi. Sulla stessa linea si muove Catullo, dando nel Carme 64 una cinematografica sequenza dello strazio della fanciulla in lacrime. Ed è questa la visione prevalentemente accolta dalla letteratura successiva. L’immagine di Arianna che ci è giunta è dunque quella di una sfigata abbandonata, per disamore o ingiunzione divina, ma comunque esempio di maldamore. In questa forma ha ispirato poeti, pittori e musicisti, soprattutto a partire da Rinascimento, e proprio grazie alla ripresa di Ovidio e Catullo. E allora, anche se Lorenzo il Magnifico la fa salire sul carnascialesco carro di Bacco (leggi: Dioniso) a ricordarci quant’è bella giovinezza/che si fugge tuttavia, Tasso la paragona ad alcune donne derelitte della Gerusalemme; Marino la riprende a simbolo della trasformazione amorosa nell’Adone; Goethe la ritrova nella Notte classica di Walpurga; D’Annunzio la evoca in chiave decadente nel Laus Vitae; e, con registro diverso, Marguerite Yourcenar, in Fuochi, le affida il racconto in bilico tra abbandono e riscatto. Lasciando per il momento da parte Teseo, su cui dovremo tornare in un’altra storia, almeno un accenno va fatto al cannibale, di cui non ci occuperemo più, ma che pure ha ispirato un bel po’ di autori. Mi limiterò a citare qui Dürrenmatt, che nel romanzo Il minotauro mette in evidenza lo straniamento e la condizione precaria del mostro sospeso in un non luogo, a sottolineare l’instabilità del concetto di verità e giustizia; e La casa di Asterione di Borges, racconto di un uomo che vive in una labirintica dimora dove tutto sembra ripetersi infinite volte, ma a cui è stato profetizzato che un giorno qualcuno verrà a liberarlo (e sarà Teseo).

L’arte invece si sbizzarrisce piuttosto sull’inciucio di Arianna con Dioniso, già presente in vasi greci e romani (Mosaico di Paphos). Sicché Tiziano coglie il momento dell’arrivo del dio (Bacco e Arianna); Annibale Carracci raffigura il corteo trionfale dopo l’unione divina (Il Trionfo di Bacco e Arianna); Guido Reni, in linea con la sensibilità barocca, riporta di nuovo l’accento sul dolore e la solitudine (Arianna abbandonata); John Vanderlyn la raffigura dormiente ignuda prima dello shock (Ariadne Asleep on the Island of Naxos); Giorgio de Chirico la erge a simbolo metafisico della solitudine di una piazza vuota. Controcorrente va invece Picasso, che ricordandosi che in questa faccenda c’entra pure il Minotauro, ne fa simbolo della bestialità, della guerra e della violenza (Minotauromachia,  Guernica). 

Con Lasciatemi morire!, frammento superstite del Lamento di Arianna, Claudio Monteverdi lascia una delle arie più intense del barocco; Benedetto Marcello riprende il testo di Ovidio in Arianna abbandonata; Joseph Haydn, con la cantata Arianna a Nasso, svolge un grande monologo per voce e pianoforte; e persino l’Arietta della sonata op. 111 di Beethoven, secondo l’acuta analisi thomasmanniana, sgorga da un’analoga “trasfigurazione”. Richard Strauss in Ariadne auf Naxos fonde commedia e tragedia; e infine Dmitrij Šostakovič,  nella Suite “Ariadna”, ne dà una versione più psicologica che narrativa.

Chi l’avrebbe mai detto che da una “coppia scoppiata” sarebbe venuto fuori un simile pandemonio simbolico?! E già: poiché agli occhi di esegeti agguerriti questa faccenda ha finito per farsi metafora di tradimento, abbandono e rinascita. Così per Jung il labirinto rappresenta l’inconscio, il Minotauro le pulsioni irrazionali, il filo l’intuizione che guida, Teseo l’io egocentrico, Nasso il luogo del trauma, Dioniso l’eros sacro e la Corona la trasfigurazione mistica. Ma Arianna, da canto suo, rappresenta molto di più. Col suo filo assottigliato a connessione intuitiva, emotiva o spirituale, è colei che consente il ritorno alla coscienza dell’individuo disceso alle pulsioni animalesche del labirinto inconscio. Ma nella donna salvifica e poi mollata avviene anche il passaggio da vittima a figura iniziatica. L’abbandono segna la rottura col passato (col padre, con la condizione principesca, col ruolo di aiutante) per l’acquisizione di un’identità non coadiuvante del macho, ma di autonomo riscatto. Accogliendo Dioniso, dio del vino, del teatro, del delirio sacro, della fusione sensuale e mistica, Arianna si libera insomma dalla logica maschile del potere e penetra nella dimensione spirituale ed erotica dove desiderio e sacralità coincidono. E risolto l’amore ferito in fusione estatica, beffando il modello patriarcale, Arianna transita dal ruolo di ancella, figlia e compagna a orgogliosa artefice del proprio destino. Non male, se si pensa a come si erano messe le cose… Ma del resto, si parva licet, anche nei miei Appunti l’abbandono non costituisce forse il punto di svolta per un viaggio iniziatico che dall’innamoramento porta alla trasfigurazione dei protagonisti, che proprio attraverso la perdita ritrovano se stessi?

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