Maldamore – #5

Raramente l’intervento divino nell’esistenza umana, checché ne dicono i miracoli, ha effetti benefici. Ché se già è sconsigliato mettere il dito tra moglie e marito, non vi dico che succede quando il dito è quello di una dea! Come ben insegna una delle narrazioni più toccanti e complesse dell’antichità, che parla di fedeltà, sospetto e destino. Raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi, la storia di Cefalo e Procri è proprio una messa in guardia dagli effetti dovuti al verme della gelosia…
L’amore e il matrimonio
Nipote del mitico re dell’Attica Cecrope, il bellissimo e prestante Cefalo ha sposato Procri, figlia di Eretteo, e si amano di un affetto senza paragoni:
“…ci univa la stessa premura allo stesso amore:
lei non mi avrebbe preferito Giove e io non le avrei anteposta neanche Venere…”
Cefalo, che oltre Procri ama appassionatamente la caccia, trascorre intere mattinate sul Monte Imetto, preparando trappole per le prede. Ma sono passati appena due mesi dalle nozze, che un giorno la dea Eos, sì, proprio l’Aurora che apre ogni mattina la porta al sole, quella dipinta di rosa di Omero e Leoncavallo, lo vede, e colta da subita foia in quattro e quattr’otto se lo tira sul carro. Che dalla loro unione nasca o meno l’auriga Fetonte, come taluno narra, fatto sta che Cefalo, pur costretto a tradirla, resta innamorato della bella moglie; e incomincia a respingere le avances della dea. Che infuriata di vedersi posposta a una sciacquetta mortale, lo caccia in malo modo. E giurando vendetta, tremenda vendetta, gli istilla in cuore il funesto tossico della gelosia.
La prova crudele
Con quel veleno in corpo Cefalo incomincia infatti a chiedersi cosa la moglie abbia trafficato in sua assenza; e per togliersi ogni dubbio sulla sua fedeltà ha la gloriosa idea di corteggiarla spietatamente sotto mentite spoglie per provarne la resistenza. E persuaso che tutto abbia un prezzo, con gentilezze e regali le promette un patrimonio per una notte, come ha visto fare nel film “Proposta indecente” da Robert Redford. E già, dopo aver smorfiato per un po’, la lusingata Procri incomincia a cedere… quando, sorpresa! il camuffato marito, sconfortato all’idea che così fan tutte, svela la sua identità. Di fatto Procri non ha quagliato, ma quel suo tentennamento è bastato a scuotere la fiducia di lui (che invece l’ha tradita davvero: ma con Eos che poteva fare?). Solo che, senza cercare belle scuse, non sapendosi perdonare quel momento di debolezza, Procri va a mescolarsi alle virginee ninfe di Artemide. Ma poi, da cuor tenero qual è, torna nella dimora coniugale, e dopo un reciproco scambio di confessioni di nuovo splende il sereno. La storia a questo punto potrebbe chiudersi con un lieto fine, se non fosse che i lieti fini, in questa rubrica, non si danno. E tutto riparte quando Procri, per favorire la passione dello sposo per la caccia, gli fa dono del cane centometrista Uragano e di un giavellotto puntadorato che coglie sempre il bersaglio e poi torna indietro come un boomerang. La crisi sembra decisamente superata da entrambi. Sembra solo, però…
Quando un’Aura soffia
Famoso per la reputazione di cacciatore, Cefalo viene un giorno chiamato a liberare la regione di Tebe da una mostruosa volpe che dilania le greggi. Ma essa è così rapida che nemmeno Uragano riesce ad abbrancarla: tanto che Zeus stesso, per porre fine all’estenuante inseguimento, immobilizza entrambi gli animali in statue di marmo; e ora a Cefalo, per le bisogna della caccia, rimane solo l’infallibile giavellotto. E con quello caccia e caccia, fino allo sfinimento, concedendosi appena una sosta nell’afa della giornata, distendendosi all’ombra a canticchiare:
Per moderare il fuoco che mi brucia
Vieni, bell’Aura, vieni sul mio seno,
e rianima me con le carezze.
Purtroppo un fauno spione e innamorato riporta a Procri queste parole, sperando nella ricompensa. E lei, davanti a quella “lampante” prova di infedeltà dello sposo, lo segue di nascosto e si acquatta tra le fronde per coglierlo in flagrante. Solo che, turbata nell’udire “Vieni, Aura”, fa per convulsione un movimento incauto. E Cefalo, credendola una bestia nascosta tra i cespugli, lancia il suo infallibile giavellotto: che, destinato com’è a tornare al proprietario, torna infatti… nel petto di Procri, che spira pronunciando le ultime volontà:
Promettimi, in nome del nostro amore,
che resterai fedele al mio ricordo,
e che quest’Aura non trarrai per sposa,
né la farai entrare nel mio letto.
Al disperato Cefalo non resta altro che chiarire che l’Aura invocata non è una donna ma un’innocua brezza di venticello. Dopodiché, col nome dell’amata sulle labbra, si precipita in mare.
Il mostro della gelosia
Già riprodotto nella ceramica antica, questo mito, al solito, è stato fonte d’ispirazione per vari artisti, tra cui Piero di Cosimo, Luca Giordano, Nicolas Poussin, Antonio Canova e Andrea Appiani. Ma anche oggi offre qualche interessante spunto di riflessione sulla fragilità delle intese, anche quando fondate su un sentimento forte, se vi filtra la gelosia. E suggerisce che mettere alla prova la persona amata è scommessa perigliosa, poiché l’indagine rischia di incrinare proprio quel legame che si vorrebbe proteggere. Inoltre, i travestimenti di parole adottati talvolta per snidare la verità, devono fare i conti con l’imprevedibilità del caso, delle circostanze, degli stati d’animo, e persino con l’ironia della sorte… Non vorrei dire, ma anche in Appunti di un colloquio interrotto è un analogo bluff, messo in atto per gelosia, sospetto e insicurezza, a indurre la protagonista a prendere una decisione irreversibile.

