Fedra e Ippolito: l’incesto mancato

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Nelle puntate precedenti…

Se Teseo s’illudeva di aver scaricato con Arianna una piagnucolosa, non sapeva che una disgrazia altrimenti deplorevole stava per abbattersi anche su di lui. Già il fatto di aver causato la morte del padre per essersi dimenticato di sostituire le vele era un brutto segno. Ma ciò che gli accadde dopo essergli succeduto come re di Atene è ancora più eclatante: quasi avesse un conto aperto con la scombinata famiglia di Cnosso. Ma andiamo in ordine. Già sappiamo che dall’accoppiamento di Pasifae col toro era nato il Minotauro. Meno noto è che dal suo ménage con Minosse erano sorti pargoli e pargolette, una delle quali ci è già nota per la storia del filo… Ma dopo che l’ebbe abbandonata, certo guidato da uno strano fiuto per le rogne, Teseo se ne andò a cercare un’altra impalmando Fedra. Né ci sarebbe nulla di strano, invero, se una fidanzata vale l’altra. Ma per sua disgrazia Fedra era sorella di Arianna, e qualche gene disturbato doveva averlo anche lei… E l’eroe insaziato di avventure, senza un filino di sospetto, ma vagamente intrigato dal similincesto, finì per infilarsi in un altro labirinto…

Dall’unione precedente con l’amazzone Antiope, il mai domato Teseo, che dove passava lasciava il segno, aveva avuto un figlio bello, ma votato al culto casto di Artemide. Ora non è che le maritate siano sempre modelli di virtù, e qualche evasione erotica se la possono anche concedere. Cose che capitano, diremmo. E invece, tra tutti gli esemplari che avrebbe potuto concupire, non vuoi che la sposa di Teseo va a mettere gli occhi addosso proprio a quel ragazzetto, incaponendosi contro ogni decenza a portarselo a letto! Un nuovo similincesto sta dunque nell’angolo: se non fosse che il giovane Ippolito, che oltre ad essere baldanzoso è fieramente incorruttibile, non ci sta. Non l’avesse mai fatto! Ché Fedra, col caratterino focoso che si ritrova, invece di accucciarsi a leccarsi lo smacco, corre dal marito ad accusare il figliastro di aver attentato alla sua virtù. Non è vero niente, beninteso: ma Teseo, da buon giuggiolone, si sciroppa tutto, e senza pensarci due volte prega Poseidon di dare una salutare sculacciata al birbante. E il dio, che se può combinare casini non si fa troppo pregare, dispone per il ragazzo un incidente. L’incesto è scampato e l’onore salvo: se non ci fosse quel dettaglio che Ippolito, per la falsa accusa, è passato a miglior vita… E Fedra, che non aveva immaginato né desiderato conseguenze così fatali della sua denuncia, divorata dal rimorso, confessa al marito la verità, prima di fare harakiri.

Trattandosi di una passione unilaterale, a rigore non si tratta qui di una coppia “scoppiata” ma solo potenziale, e dunque di un banale caso di ossessione non corrisposta. Roba da cronaca nera e da notiziario scandalistico, se le valenze simboliche e psicologiche della vicenda non sollevassero i bassifondi del misfatto a problematica universale: che è poi ciò a cui dovrebbe tendere ogni opera letteraria degna di questo nome, insufflando in un argomento per quanto squallido quel tantinetto di poesia in grado di sollevare un fattaccio da grandguignol a tragedia immortale. 

Ben più dell’arrogantello Ippolito, che con inconsapevole leggerezza mette in moto la tragedia, a sfidare i secoli è pertanto lei, Fedra, uno dei più grandi personaggi della letteratura d’ogni tempo. Trattata per la prima volta da Sofocle in una tragedia perduta, è soprattutto nel dramma di Euripide che si erge a protagonista assoluta. Vittima di Afrodite che la fa innamorare per punizione, la donna cerca di resistere come può, soffre in silenzio, si ammala per il tormento, prova a nascondere la passione: e infine, stritolata tra il capriccio divino e l’umana fragilità, si suicida per rimorso e vergogna. Se nella tragedia di Seneca l’accento si sposta sulla passione come forza incontrollabile e quasi demoniaca, è con Racine che la fille di Minos et de Pasiphaé grandeggia superba. Essendo però qui la nutrice a fabbricare la calunnia, Fedra, che pur non essendo del tutto colpevole non può neanche dirsi innocente, si consuma in un tormento morale che, nobile e tragica, umana e dilaniata, la porta a espiare con la morte. Una rilevante variazione introduce poi D’Annunzio, la cui Fedra non uccide per vendetta, ma per presentarsi come colei che, sovvertendo le leggi antiche, può ricongiungersi all’amato nella morte.

Pur ridotta ai suoi elementi essenziali, la vicenda di Fedra è un concentrato di violazioni di ogni tipo. E se la passione proibita mette in crisi i fondamenti della famiglia, del pudore e della ragione, la sua trasgressione si esercita a più livelli. Fedra non incarna solo la forza distruttiva del desiderio represso, con le conseguenze della menzogna e dell’onore ferito, ma il suo desiderio si configura anche come tradimento coniugale e sfida all’ordine cosmico. Mentre Ippolito rifiuta la sessualità, il matrimonio e la generazione, compromettendo la continuità della stirpe, Fedra tradisce il ruolo di madre surrogata e di moglie fedele. Lo stesso Teseo contribuisce a questa dinamica distruttiva, quando, non riconoscendo la verità e maledicendo il figlio, trasforma l’autorità in ingiustizia. Una complessa costellazione a sottolineare il limite dell’umano, e il disastro a cui l’amore va incontro ogni qualvolta supera l’asticella della decenza, con la sanzione dell’Ubris sempre pronta ad abbattersi sull’infrazione, come sull’anonimo protagonista degli Appunti di un colloquio interrotto.(By the way, in una situazione analoga a quella di Teseo si troverà anche Costantino, nell’undicesimo volume del Declino degli dèi.)

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