
C’era una spada tra noi»: prima di morire, Borges aveva espresso il desiderio che sulla sua lapide venissero incise queste parole. Lo aveva chiesto a María Kodama, la giovane e bella assistente di origine giapponese che lo aveva sposato quando lo scrittore aveva ottantasei anni, condividendo gli ultimi due mesi della sua vita, ed era
rimasta al suo capezzale a Ginevra, città in cui Borges aveva vissuto da ragazzo e dove ora voleva essere sepolto.
Uno studioso ha definito quella breve epigrafe « un simbolo potente e affilato ». Secondo lui sarebbe un’importante chiave di accesso alla scrittura di Borges – la spada che separa il suo stile dal realismo letterario del passato – ma a me sembra una confessione estremamente pacata e personale.
La frase rimanda a una leggenda della mitologia nordica: la prima notte che un uomo e una donna trascorrono insieme, che sarà poi anche l’ultima, tra loro viene adagiata una spada fino all’alba. E cos’altro potrebbe
rappresentare quella lama potente e affilata, se non la cecità che si frappose tra il mondo e Borges nei suoi ultimi anni di vita?
Kang, L’ora di greco
