Maldamore – #8

Attenzione alla frutta!
Quello di Paride ed Elena è uno degli episodi più emblematici e drammatici della mitologia greca. Narrato principalmente da Omero nell’Iliade, ma ripreso da Euripide nella Elena e da Virgilio nell’Eneide, esso è strettamente connesso con la distruzione di Troia, e ispirerà nel tempo un’infinità di artisti, tra cui spiccano Giovanni Battista Tiepolo e Peter Paul Rubens, perché mai, a onore di Eros, un turbinio di ormoni ebbe conseguenze così catastrofiche per un’intera civiltà. E tanto è bislacca la sorte delle genti, che lo sconquasso fu causato da… una mela! E vediamo perché.
La torcia infuocata
Lui, Paride, era figlio del re di Troia Priamo, ma forse indesiderato, siccome la moglie Ecuba, di lui incinta, aveva sognato una torcia infuocata in cui un indovino aveva letto nel nascituro la rovina della città. Per scongiurare quella brutta prospettiva, il padre lo aveva perciò affidato a dei pastori, così che il ragazzo era cresciuto tra le capre del Monte Ida, ignaro delle origini reali. Senonché, avendo un giorno partecipato ai giochi funebri di Troia, e riconosciuto da quel fiutofino della sorella Cassandra, era stato riaccolto nella famiglia di origine, dimentica delle ragioni per cui l’aveva allontanato.
Disputa in cielo
Nel frattempo in cielo si celebravano le nozze tra Peleo e Teti (da cui sarebbe nato Achille), al cui banchetto tutti gli dèi erano stati invitati, tranne Eris, dea della Discordia. La quale, nomen omen, non l’aveva presa proprio bene: e come dono di nozze aveva gettato sul tavolo conviviale un pomo d’oro, con la scritta “alla più bella”. Apriti cielo! Ora non è che la vanità sia debolezza solo terrena, ché nell’Olimpo manco si scherzava: così, subito azzerando le mezzetacche divine, le primedonne Era, Atena e Afrodite rivendicarono immantinente il titolo. E Zeus, tra il parapiglia delle tifoserie, affidò a Ermes il compito di guidarle davanti a Paride, lo strafigo del Monte Ida, affinché quella patata bollente se la pelasse lui. Compito non facile, invero, visto che il tentativo di corruzione delle tre non era da prendere sottogamba: ché se Era prometteva il dominio assoluto sull’Asia, e Atena la vittoria in tutte le battaglie, Afrodite gli garantì l’amore di Miss Universo. Se avesse scelto la prima, Paride sarebbe stato il più grande regnante del mondo antico; col secondo, un condottiero davanti a cui Alessandro sarebbe impallidito: e invece, da quel romanticone che era, si buttò su una donna da sballo, da conquistare con l’assist di Afrodite, senza sapere che quella debolezza di cuore avrebbe portato alla più longeva guerra dell’antichità.
Ratto o fuitina?
Una guerra, per una passioncella? E già, siccome la Miss Universo di cui parliamo non era single, ma, mondo cane, consorte devota e fin là fedele del gelosissimo re spartano Menelao. Ma tant’è: di mariti cornuti è zeppo l’orbe terraqueo, e Afrodite, sbocconcellando la mela dorata, ha dato la sua parola. E allora Paride, nonostante i presagi menagramo di quella sfigata di Cassandra a cui nessuno dà retta, si fa inviare come ambasciatore a Sparta, dove Menelao accoglie la delegazione con la proverbiale ospitalità antica. Dovendo però, mannaggia, assentarsi per un funerale, l’affida alle cure della moglie, a cui raccomanda il riguardo dovuto al loro rango. E la Miss Universo è invero un’ospite squisita; se non fosse che, trovandosi davanti quello schianto di Paride, non capisce più niente. E alla faccia della fedeltà coniugale, fa con lui una sciagurata fuitina, dimentica persino della figlia Ermione (in altre redazioni, viene “rapita” contro la sua volontà: ma questo è un dettaglio rispetto allo sconquasso che segue).
Porca Troia!
Che Elena sia stata consenziente o forzata, il marito becco non ci sta: e che sia gelosia, passione, possesso, onore o voglia di menar le mani, rivuole indietro a tutti i costi la dolce metà: e per andarsela a riprendere non esita a scatenare una guerra (che beninteso era innanzitutto economica, ma in questa rubrica non conta). E radunati i capi greci (tra i quali spiccano nomi stranoti come Agamennone, Achille, Ulisse, Aiace), organizza una spedizione punitiva contro Troia, che da Blizkrieg finisce per spalmarsi su dieci anni. Sì, poiché sul fronte nemico, accanto a Paride che se la cava meglio a letto che sul campo di battaglia, combatte con Ettore un valente gruppo di difensori. Ma nulla possono contro la sovrastante potenza greca, soprattutto quando il piè veloce Achille (altra storia di cui ci occuperemo) riprende le dismesse armi, anche se poi ci lascia le penne proprio per mano di quel figurino di Paride, che col supporto di Apollo gli infila una freccia nel famoso tallone vulnerabile, prima di essere a sua volta infilzato da Filottete.
E dopo?
Se non è l’unico amorazzo scalognato in questa rubrica di tresche sfigate, di certo la vicenda di Elena e Paride è quella dalle conseguenze più disastrose, a dire della potenza dell’eros quando sbocca su scala cosmica. Una volta finita la guerra, però, tra morti e vivi, i greci superstiti tornano a casa con un lauto bottino, compreso il capro Menelao con in groppa la moglie fedifraga, infine strappata al seduttore che intanto è passato a miglior vita. Ma che destino l’aspetta una volta tornata a cuccia? Non sappiamo invero come Elena trascorse i suoi giorni, che con un marito possessivo e territorialista non dovettero essere da sogno. L’immaginiamo piuttosto soggiacere alle voglie del bruto che riaccampava i diritti del talamo, casomai con la mente volta alle vaghezze dell’erosione erotica che le faceva tremare i ginocchi. E non sappiamo nemmeno se il furioso la graziò, o la tenne da sguattera. Ciò che ci sembra improbabile è che la esiliasse, dopo tutto il cancan fatto per riaverla. E per la stessa ragione probabilmente non la sgozzò, tutto sommato anche lui vittima di maldamore… Resta la domanda se una donna che ha preso una simile sbandata può mai riaffezionarsi al marito del patto. Che è poi una delle questioni irrisolte in Appunti di un colloquio interrotto.

