«Nostra solitudine» di Daria Bignardi

1–2 minuti

Ho deciso di uscire dai social mentre sbucciavo una pitaya, quel frutto che sembra una barbabietola a pois.
Da quando sono qui mangio sempre le stesse cose: pitaya a colazione, pho a pranzo e cena, cappuccini durante la giornata.
Pho si pronuncia “fo” con la o chiusa di four – mi ha corretta un giovane cameriere a Can Tho – ed è una zuppa con gli spaghetti di soia, che viene servita con un gran fascio di erbe aromatiche da sminuzzare nel brodo insieme a lime, germogli di soia e olio piccante.
Dopo che l’ho assaggiato per la prima volta, in uno spoglio ristorante di fianco al Tempio della Letteratura di Hanoi, non mangio altro.
Non solo è squisito, ma il rito di condirlo, prendere gli spaghetti e le verdure con le bacchette, sorbire il brodo dalla tazza, dà più soddisfazione che mangiare con le posate.
Forse mi è venuta l’idea di lasciare i social mentre facevo colazione perché al mattino sono più lucida, ma non so se riuscirò a farlo: da quando l’ho pensato mi è venuto un attacco di tristezza.

Daria Bignardi, Nostra solitudine (Incipit)

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