Nessuno è pazzo e tutti sono pazzi ne “I baffi” di Emmanuel Carrère

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Una mattina un uomo si alza e decide di tagliarsi i baffi. Un gesto apparentemente innocuo ma che cambia completamente il suo equilibrio personale, familiare e sociale. La moglie rientra a casa ma non sembra notare il cambiamento. Il marito pensa sia uno scherzo da lei ordito ma anche gli amici e i colleghi non si accorgono di nulla. E mentre all’inizio quest’uomo ha creduto che la moglie, Agnes, avesse avvisato tutti per reggerle il gioco, con il passare delle ore però, l’irritazione si trasforma in angoscia perché chiunque incontri il protagonista non fa altro che confermare che quei baffi lui, non li ha mai avuti. Questa è la storia narrata da Emmanuel Carrère ne I baffi, romanzo del 1986, in cui una semplice e banale azione, quale quella di tagliarsi i baffi, sgretola i confini della realtà e genera un incubo senza via di uscita. Lo scrittore lascia il lettore senza punti di riferimento per potenziare il senso di smarrimento che vive il protagonista, in preda ad una vera e propria crisi di identità, dettata dal mancato riconoscimento di sé da parte degli altri. Questo non sentirsi riconoscibile causa dei grandi dubbi nell’uomo che arriva a diffidare della propria capacità di valutazione e fugge in preda all’ansia e all’angoscia.
Lui, novello Gregor Samsa, non sa più come interpretare l’evento: si tratta di follia (sua o degli altri?), di un fatto inspiegabile, o di una terribile macchinazione ideata dalla moglie. Scappa a Hong Kong, vaga senza un obiettivo, arrovellato dalle ossessioni, ma la fuga dagli altri non comporta la fuga da se stesso. L’unica cosa certa che il lettore sa è che tutto diventa possibile e che non esiste un’unica verità, chiara e conoscibile. Tutto ruota intorno ai punti di vista.

Di sapore kafkiano, con reminiscenze gogoliane e pirandelliane, la metamorfosi in atto si svolge in un’atmosfera di crescente paranoia: il protagonista (non a caso senza nome) non è più in grado di distinguere tra pensieri e realtà fino a quando quest’ultima sembra trasformarsi in una mostruosa allucinazione. I baffi diventano un’apologia dell’identità, messa in discussione e definita dalla società in cui viviamo. Chi siamo davvero davanti allo specchio? Quanto potere hanno gli altri di decostruire l’immagine che ognuno ha di sé?
Lo scrittore si focalizza sui pezzi perduti, sui cumuli di macerie che portano alla dissoluzione di sé stesso come singolo individuo ma anche in funzione del rapporto con l’altro: un’orchestra in cui i singoli musicisti cominciano a stonare dando luogo ad una melodia alterata, straniante che per nulla somiglia a quella iniziale. Nessuno è pazzo e tutti sono pazzi. E noi siamo sicuri di essere ciò che crediamo?

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