
Il nostro compito, come femministe, non dovrebbe essere reclutare.
Non dovrebbe essere convertire. Dovrebbe essere ascoltare i
bisogni e le esigenze delle donne, che potrebbero anche differire da noi. Quanto sarebbe necessario lo dimostra l’atteggiamento
condiscendente delle femministe occidentali nei confronti delle donne dei paesi musulmani, l’idea che vadano salvate dai loro veli e dalle loro tradizioni. E che importa se salvare e proteggere sono idee maschili, patriarcali. Nel nostro tentativo di convertirle chiediamo a quelle donne di rinnegare le cose a cui attribuiscono valore nella propria esistenza e di abbracciare i nostri valori, di indipendenza, successo e sessualità.
Eppure, nonostante gli sforzi di convertire le donne ai nostri valori, di rado sembriamo fermarci a riflettere se queste cose ci rendano davvero felici. Se questo modo di vivere sia il migliore. Porsi questo dubbio non significa rientrare strillando in cucina, permettere agli uomini di decidere per noi e sottometterci di nuovo. Significa chiederci se magari ci siano cose che abbiamo buttato via e che dovremmo recuperare. Significa chiederci se sia il caso di fare una pausa e ripensare non soltanto la strategia ma gli obiettivi.
Jessa Crispin, Perché non sono femminista

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